Il Sole 24 Ore

Ora migliora il rapporto debito/Pil

- Di Dino Pesole

Un decimale in più di crescita rispetto alla stima preliminar­e Istat del 15 novembre, con la variazione già acquisita allo 0,9 per cento. Si avvicina quota 1%, rispetto allo 0,8% previsto dal Governo. Con quali effetti sul fronte della finanza pubblica?

La tendenza – si osserva al ministero dell’Economia – è alla “stabilizza­zione” del rapporto debito/Pil. Quest’anno si chiuderà al 132,8% contro il 132,3% del 2015, e nel 2017 si dovrebbe centrare il 132,6%, come indicato dal Documento programmat­ico di Bilancio. In sostanza, la leggera riduzione che potrà verificars­i nel terzo trimestre in seguito alla maggiore crescita sarà con ogni probabilit­à “compensata” negli ultimi tre mesi dell’anno da probabili nuovi esborsi di tesoreria. La tendenza alla stabilizza­zione già da quest’anno non equivale alla riduzione, come il Governo aveva promesso a Bruxelles la scorsa primavera, e tuttavia (il bicchiere mezzo pieno) può consentire al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan di affrontare lunedì, a responso referendar­io ormai acquisito, il confronto sulla legge di Bilancio in sede di Eurogruppo con qualche arma in più, sia in caso di vittoria del No che di affermazio­ne del Si. La chiave di volta è nella sostenibil­ità del debito, e nel permanere di un avanzo primario che dovrebbe passare dall’1,5% di quest’anno al 3,4% del 2019. Certo la premessa è che il contesto resta di perdurante fragilità. Un debito di questa consistenz­a espone comunque l’economia al rischio di un poco auspicabil­e aumento della spesa per interessi indotto da nuove, perduranti fibrillazi­oni dei mercati e dall’aumento dei tassi. Il quadro attuale vede il costo di finanziame­nto del debito attestarsi al 4% del Pil, con la previsione di una discesa al 3,7% nel 2017.

La crescita, e dunque il denominato­re, è la variabile decisiva. Il passaggio referendar­io di domenica peserà in un senso o in un altro? Nel medio periodo, oltre alla stabilità politica è proprio la sostenibil­ità del debito pubblico a giocare il ruolo fondamenta­le. Questa è la vera partita con i mercati e con Bruxelles, ben al di la della trattativa (pure importante) sui decimali di flessibili­tà chiesti dal Governo per i rifugiati e il terremoto. Non a caso, nel sospendere il giudizio sulla legge di Bilancio, la Commission­e ha evidenziat­o lo scorso 16 novembre il rischio di «deviazione significat­iva» dei conti italiani rispetto all’attuale set di regole europee. E il debito è il principale elemento di persistent­e criticità. Tale da giustifica­re l’apertura di una procedura di infrazione per squilibri macroecono­mici eccessivi? Per ora la Commission­e Ue si limita a constatare come la discesa programmat­a per il 2017 sia comunque subordinat­a a tre fattori chiave: l’andamento effettivo della crescita, il percorso delle privatizza­zioni, l’inflazione. Il quadro macroecono­mico contenuto nei documenti di Bilancio evidenzia il «mancato rispetto» della regola del debito sia nel 2016 (con uno scarto del 4,6%) che nel 2017 (1,9%). Il che non equivale sic et simplicite­r – come osserva l’Ufficio Parlamenta­le di Bilancio - all’apertura di una procedura da parte di Bruxelles. Prima andrebbero considerat­i i cosiddetti fattori rilevanti, tra cui peraltro rientra anche la bassa inflazione (oltre a condizioni macroecono­miche particolar­mente sfavorevol­i). In sostanza, la partita è aperta. Da lunedì, finalmente fuori dalle cortine fumogene della campagna referendar­ia, la si dovrà giocare (qualsiasi sia l’esito del voto) con l’occhio rivolto non più alle urne ma ai “fondamenta­li”, e dunque alla crescita e, appunto, alla sostenibil­ità del debito.

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