Chi si ferma è perduto
Il governo ha capito che sulla crescita del Pil possono giocare un ruolo le infrastrutture. Il Cipe ieri ha accelerato le opere Fsc mentre la cassa disponibile fa un salto da 2,1 a 3,5 miliardi. M5S, invece dopo le Olimpiadi a Roma, sembra pronto a sfilarsi, con il sindaco Appendino, dalla Torino-Lione.
Poco importa che l’abbandono da parte del Comune di Torino dell’Osservatorio sulla Tav sia più un manifesto politico che una decisione con conseguenze operative. Quello che colpisce è ancora una volta una scelta che, come già era successo per Roma 2020, proietta e consolida in ambito locale una posizione politica nazionale del “no”. Come se fosse facile far passare il messaggio politico del “non fare”, del bloccare, del frenare e più difficile costruire posizioni politiche solide sul “fare”. Torino va certamente meglio di Roma che sembra afflitta da una vera paralisi amministrativa, ma a maggior ragione la decisione di ieri sorprende. Tanto più che la presenza nell’Osservatorio è un modo per partecipare al monitoraggio delle operazioni.
Ovviamente è legittimo per un’amministrazione locale selezionare opere e investimenti sulla base delle proprie priori- tà programmatiche. Meno scontato che si cerchi di fermare un’opera considerata priorità dall’Unione europea e dal Paese. In questo atteggiamento appare evidente uno squilibrio con il territorio che prova a lucrare sui poteri di veto. Nel caso della Tav l’esercizio di questo effetto Nimby sembra improbabile ma certo è che a mettere ordine nella questione - separando in modo più netto ciò che è”nazionale” da ciò che è “locale” - può essere solo un titolo V della Costituzione più netto, se passerà la riforma sottoposta a referendum.
Quello che in Italia fa difficoltà a farsi strada è la continuità delle scelte amministrative al cambiare delle maggioranze. Questo aspetto è fondamentale nel funzionamento ordinato delle istituzioni, soprattutto nel campo delle infrastrutture, dove certamente vale il motto “chi si ferma è perduto”. Uno stop, o anche solo una pausa, comporta l’invecchiamento di progetti, la perdita di fondi, l’attesa per mesi di un visto o un’autorizzazione o un passaggio al Cipe. La continuità dell’azione am- ministrativa è l’unica possibilità di realizzare infrastrutture. Questo non significa che si debba prendere tutto per buono: occorre selezionare rigorosamente e anche rivedere i progetti se è possibile ridurre i costi o mitigare l’impatto ambientale o migliorare il servizio ai cittadini.
La continuità d’azione amministrativa è centrale. Questa è una lezione che il governo ha capito negli ultimi mesi. Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha svolto un’incessante opera di accelerazione di progetti e anche le task force insediate a Palazzo Chigi, sia pure con risultati alterni, hanno spinto per vagliare progetti e spostare risorse. Il Cipe di ieri chiude un cerchio e mette risorse Fsc a disposizione di progetti concreti dopo l’approvazione di cornice di agosto. È utile sia nel caso in cui il governo continui la sua azione sia nel caso in cui si fermi, perché la decisione di ieri garantisce comunque una continuità a chi deve realizzare i progetti Fsc. Così come è molto utile che la cassa del Fondo sviluppo coesione, mantenendo una promessa fatta da Renzi, Padoan e Delrio, faccia un salto dagli 1,8 miliardi del 2015 ai 2,1 del 2016 ai 3,5 del 2017. Ci sono le premesse per cominciare a correre.