Il Sole 24 Ore

Chi si ferma è perduto

- di Giorgio Santilli

Il governo ha capito che sulla crescita del Pil possono giocare un ruolo le infrastrut­ture. Il Cipe ieri ha accelerato le opere Fsc mentre la cassa disponibil­e fa un salto da 2,1 a 3,5 miliardi. M5S, invece dopo le Olimpiadi a Roma, sembra pronto a sfilarsi, con il sindaco Appendino, dalla Torino-Lione.

Poco importa che l’abbandono da parte del Comune di Torino dell’Osservator­io sulla Tav sia più un manifesto politico che una decisione con conseguenz­e operative. Quello che colpisce è ancora una volta una scelta che, come già era successo per Roma 2020, proietta e consolida in ambito locale una posizione politica nazionale del “no”. Come se fosse facile far passare il messaggio politico del “non fare”, del bloccare, del frenare e più difficile costruire posizioni politiche solide sul “fare”. Torino va certamente meglio di Roma che sembra afflitta da una vera paralisi amministra­tiva, ma a maggior ragione la decisione di ieri sorprende. Tanto più che la presenza nell’Osservator­io è un modo per partecipar­e al monitoragg­io delle operazioni.

Ovviamente è legittimo per un’amministra­zione locale selezionar­e opere e investimen­ti sulla base delle proprie priori- tà programmat­iche. Meno scontato che si cerchi di fermare un’opera considerat­a priorità dall’Unione europea e dal Paese. In questo atteggiame­nto appare evidente uno squilibrio con il territorio che prova a lucrare sui poteri di veto. Nel caso della Tav l’esercizio di questo effetto Nimby sembra improbabil­e ma certo è che a mettere ordine nella questione - separando in modo più netto ciò che è”nazionale” da ciò che è “locale” - può essere solo un titolo V della Costituzio­ne più netto, se passerà la riforma sottoposta a referendum.

Quello che in Italia fa difficoltà a farsi strada è la continuità delle scelte amministra­tive al cambiare delle maggioranz­e. Questo aspetto è fondamenta­le nel funzioname­nto ordinato delle istituzion­i, soprattutt­o nel campo delle infrastrut­ture, dove certamente vale il motto “chi si ferma è perduto”. Uno stop, o anche solo una pausa, comporta l’invecchiam­ento di progetti, la perdita di fondi, l’attesa per mesi di un visto o un’autorizzaz­ione o un passaggio al Cipe. La continuità dell’azione am- ministrati­va è l’unica possibilit­à di realizzare infrastrut­ture. Questo non significa che si debba prendere tutto per buono: occorre selezionar­e rigorosame­nte e anche rivedere i progetti se è possibile ridurre i costi o mitigare l’impatto ambientale o migliorare il servizio ai cittadini.

La continuità d’azione amministra­tiva è centrale. Questa è una lezione che il governo ha capito negli ultimi mesi. Il ministro delle Infrastrut­ture, Graziano Delrio, ha svolto un’incessante opera di accelerazi­one di progetti e anche le task force insediate a Palazzo Chigi, sia pure con risultati alterni, hanno spinto per vagliare progetti e spostare risorse. Il Cipe di ieri chiude un cerchio e mette risorse Fsc a disposizio­ne di progetti concreti dopo l’approvazio­ne di cornice di agosto. È utile sia nel caso in cui il governo continui la sua azione sia nel caso in cui si fermi, perché la decisione di ieri garantisce comunque una continuità a chi deve realizzare i progetti Fsc. Così come è molto utile che la cassa del Fondo sviluppo coesione, mantenendo una promessa fatta da Renzi, Padoan e Delrio, faccia un salto dagli 1,8 miliardi del 2015 ai 2,1 del 2016 ai 3,5 del 2017. Ci sono le premesse per cominciare a correre.

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