Voto incerto e mercati in cerca di stabilità
Il rischio-Italia peggiora quando entra in una turbolenza politica, ed è normale che questo accada. È successo al Regno Unito, subito dopo la scelta pro-Brexit, e agli Usa nei giorni in cui il mercato ha temuto che Trump fosse eletto: le preoccupazioni sul futuro degli inglesi e degli americani sono rientrate, ma la calma è temporanea, i mercati restano in attesa di conferme, di fatti concreti. In Italia, l’incertezza sugli scenari postreferendum, soprattutto quelli ipotizzati dopo una vittoria schiacciante del voto no, grava già da qualche mese sul rischio sovrano perché il Paese è superindebitato e i mercati vedono male l’instabilità politica che mette in pericolo la crescita e fa salire il costo del rifinanziamento del debito pubblico. Tuttavia, a differenza del passato più recente e diversamente dagli anni bui della Grande Crisi dell’euro, questa volta non è lo spread del rendimento tra BTp e Bund decennali il migliore indicatore delle tensioni dei mercati sul rischio-Italia: sono i prezzi azionari delle banche a dare ora il polso della situazione.
Lo spread si è sicuramente mosso al rialzo per colpa del referendum ma non ha rivissuto gli eccessi del 2011 e 2012: l’esito del voto resta incerto, i sondaggi possono sbagliare e il mercato arriva al giorno del voto in posizione piuttosto neutrale (chi era molto lungo ha ridotto, chi era troppo corto si è ricoperto): comunque sia, il gap BTp/Bund è frenato dagli acquisti mensili di titoli di Stato da parte della Bce nell’ambito del QE ed è protetto dalle OMTs e dall’esistenza del fondo salvaStati ESM nel caso in cui l’Italia dovesse finire nuovamente sull’orlo del baratro. Il differenziale tra BTp/Bund è aumentato dai 120 punti di fine estate agli attuali 170 punti, con un picco a 190 toccato nei giorni scorsi. Un salto non da poco: 50/70 centesimi contro i 30 da referendum previsti da alcuni strategist. Il ritorno alla stabilità politica riporterebbe lo spread velocemente attorno a quota 100. Uno scenario intermedio, con un’Italia che rallenterebbe il cammino delle riforme strutturali ma non le cestinerebbe e che porterebbe avanti a rilento la soluzione dei nodi bancari, farebbe oscillare lo spread post-referendum tra 120 e 150. La peggiore delle ipotesi, quella che vedrebbe concretizzarsi il “tail risk” nella forma di elezioni anticipate al 2017 con una riforma elettorale lampo e un’ascesa in Parlamento, a Palazzo Chigi di partiti anti-euro e populisti e anti-banche, metterebbe sotto pressione lo spread proiettandolo verso quota 250. Ma nessuno per ora si spinge a prevedere il gap Italia e Germania fino a 300 e oltre, perché il QE da un lato (l’8 dicembre il programma di acquisti di bond della Bce potrebbe essere esteso e quindi potenziato) e le OMTs dall’altro lato (mai usate finora ma conservano la portata risolutrice del whatever it takes) mettono un “cap”, un tetto allo spread. I mercati nell’era Trump e con il rischiopolitico in ascesa in Europa nel 2017 (elezioni in Francia, Olanda, Germania e fors’anche Italia) monitoreranno per contro non tanto lo spread ma il rendimento assoluto dei titoli di Stato italiani, ora saliti al 2% dall’1,2% di questa estate: perché è il costo del rifinanziamento del debito pubblico che più interessa e più incide sul rischio-Italia e non il differenziale contro Germania o Spagna.
Il testimone di termometro
BANCHE E SPREAD I migliori indicatori delle tensioni sul rischio -Italia sono le quotazioni azionarie delle banche
del rischio sovrano italiano passa alle banche: le ricapitalizzazioni e la vendita dei non-performing loans con operazioni puramente di mercato (per evitare lo spettro del bail-in) hanno bisogno di un contesto di stabilità politica. Nel caso di incertezza politica perdurante ma senza strappi violenti post referendum, alle banche potrebbe bastare a quel punto un periodo più esteso per effettuare gli aumenti di capitale: gli SREP, le raccomandazioni della Bce in tal senso arriveranno probabilmente alla prossima settimana, le valutazioni sono indirizzate alle singole banche e le banche stesse poi decidono come comportarsi. Le prime lettere dovrebbero essere già partite, e se non sono partite è comunque una questione di giorni. In casi estremi, tuttavia, il mercato non dimentica che esisterebbe tra le pieghe della direttiva BRRD una sorta di OMT bancario: uno specifico articolo che consente il bail-out per scongiurare il rischio sistemico.