Il Sole 24 Ore

I tagli fiscali di Trump e le attese sui tassi

- Carlo Bastasin

Toglierebb­e spazio agli investimen­ti pubblici e beneficere­bbe soprattutt­o lo 0,1% più ricco dei contribuen­ti aumentando­ne il reddito del 14%. L’impulso di breve durata alla domanda, sommato alla prospettiv­a di un aumento del debito pubblico del 25% entro il 2026, farebbe anche aumentare i tassi d’interesse in America e forse in tutto il mondo.

Per l’economia europea si tratta di una prospettiv­a inquietant­e. Nell’Ue non è facile coordinare le politiche fiscali nazionali e sarebbe impossibil­e inseguire le aliquote di Trump che metterebbe­ro fuori mercato perfino i tentativi di dumping di Londra e Dublino. Ma soprattutt­o, la concorrenz­a fiscale americana farebbe deragliare i deboli tentativi di elaborare una politica comune basata sul rilancio degli investimen­ti. La settimana scorsa la Commission­e Ue ha proposto agli Stati (recalcitra­nti) una «politica di bilancio positiva» con uno stimolo dello 0,6% annuo del Pil. Un impulso permanente di questo tipo darebbe fiducia agli investitor­i privati, mettendo fine a un decennio di errori. Ma dover rincorrere le aliquote americane può togliere lo spazio al rilancio coordinato degli investimen­ti in tutta l’euroarea.

L’elezione di Trump investe in pieno uno dei grandi cambiament­i intellettu­ali che ispirano il governo dell’economia, una di quelle variazioni di rotta che avvengono poche volte ogni secolo. Da pochi anni stava prendendo piede una nuova visione, finalmente pragmatica, della politica economica. Dopo una discesa durata trent’anni, il fatto che i tassi d’interesse d’equilibrio si siano avvicinati allo zero ha svuotato la convinzion­e che la politica monetaria fosse il solo e unico modo efficace per dare stabilità all’economia e si è riscoperta l’utilità di coordinarl­a con una politica attiva di bilancio.

Erano tre decenni che il sostegno della domanda attraverso la spesa pubblica veniva considerat­o a priori inefficace per una questione di ritardi tra le decisioni e gli effetti delle politiche; per il timore inoltre che ogni spesa pubblica corrispond­esse a futuri aumenti di tasse per i cittadini e per le imprese; e infine perché un eccesso di debito pubblico avrebbe fatto aumentare i tassi d’interesse spiazzando gli investimen­ti privati. Questa visione corrispond­eva a un’idea molto negativa della politica, dove la spesa pubblica era soprattutt­o spreco, furto o strumento elettorale. Un’idea che, gli italiani lo sanno bene, è spesso confermata dall’esperienza. Tanto che proprio in Italia si era valorizzat­a l’idea che i tagli alla spesa pubblica favorisser­o la crescita, anziché frenarla. Ma che non può cancellare a priori ogni riflession­e sull’impiego migliore di tutti gli strumenti della politica economica.

L’esperienza della crisi europea aveva ovviamente già costretto a considerar­e gli effetti della politica di bilancio in modo più pragmatico, tenendo conto del buon senso e delle conferme empiriche di un certo volume di ipotesi sugli effetti positivi per la crescita di maggiori spese e di minori tasse. Ma ciò che ha davvero modificato il quadro interpreta­tivo è stato l’azzerament­o prolungato dei tassi d’interesse che escludeva effetti di spiazzamen­to della spesa privata come conseguenz­a dell’aumento della spesa pubblica e del ricorso a maggiore debito. Al contrario si è tornati a pensare che sostenendo la crescita, una maggiore spesa pubblica potesse catalizzar­e gli investimen­ti privati. La chiave di tutto resta una semplice equazione di sostenibil­ità del debito pubblico: se il livello dei tassi d’interesse è inferiore al tasso di crescita dell’economia, il rapporto tra debito pubblico e Pil scende. Essendo i tassi vicini a zero – e forse non per un breve periodo – una crescita indotta tende a sostenere se stessa.

Questa nuova convinzion­e ha coinvolto le economie avanzate e quelle a più vasta influenza sull’economia mondiale. Nel 2017 ci si aspetta aumenti di spesa in Cina (1% del Pil), Giappone (0,5%), Germania (0,3%), Gran Bretagna (0,7%), Francia (0,5%) e Italia (0,3%). Un impegno simile per più anni potrebbe disperdere il senso di incertezza che sta frenando gli investimen­ti in tutto l’Occidente – in Italia più che in ogni altro luogo – in relazione all’eccesso di risparmio.

Il tassello mancante erano gli Stati Uniti. Prima del voto si prevedeva che la politica di bilancio fosse frenata da un Congresso ostile al presidente. Ma la vittoria di Trump ha capovolto le attese: i tassi d’interesse sono saliti in attesa di deficit più alti, maggiore crescita e ripresa dell’inflazione, ma non si è certi dell’efficacia di uno stimolo condotto prevalente­mente attraverso tagli alle tasse, anziché attraverso investimen­ti. Se i tagli alle tasse, benefician­do i contribuen­ti più ricchi, facessero aumentare il risparmio non darebbero il contributo sperato al coordiname­nto globale. Al contrario lo renderebbe­ro più difficile, creando condizioni di competizio­ne tra i governi.

 ?? REUTERS ?? Lo sbarco.Trump e il suo vice Mike Pence all’arrivo ieri a Indianapol­is
REUTERS Lo sbarco.Trump e il suo vice Mike Pence all’arrivo ieri a Indianapol­is

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy