Accoglienza e integrazione, una sfida da vincere
«Ègiunto il tempo di un grande piano di inclusione e di integrazione che veda assieme le varie componenti delle nostre istituzioni, a livello locale e nazionale». A dirlo è il prefetto Mario Morcone, Capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, intervenendo ieri a Milano alla tavola rotonda “Per un’accoglienza integrata” organizzata nell’ambito della presentazione della XXII edizione del Rapporto sulle migrazioni curato dall’Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità). Morcone ha sottolineato come sui temi dell’immigrazione «l’Italia sta facendo la sua parte con serietà e molto meglio di quanto viene rappresentato» da qualche parte politica «allo scopo di raccogliere qualche voto in più».
Un’affermazione su cui ha concordato Andrea Debonis, Protection Associate Unchr: «Negli ultimi anni abbiamo riformato il percorso di accoglienza e l’abbiamo fatto in maniera estremamente positiva, privilegiando il secondo livello che si basa sugli Sprar» (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) e che va «oltre l’approccio meramente emergenziale» puntando invece con decisione su un «piano nazionale d’accoglienza».
Un modo corretto, questo, di affrontare una situazione di grande complessità secondo il direttore Area Lavoro e Welfare di Confindustria, Pierangelo Albini. «Dobbiamo prendere consapevolezza di un fenomeno che non è nuovo e con cui dovremo convivere a lungo». Anche con tutta una serie di benefici sul piano del welfare, oltre che su quello della crescita economica. Albini ha ricordato a questo proposito il rapporto del Centro studi Confindustria – “Immigrati: da emergenza a
opportunità” - presentato il 22 giugno scorso a Roma: «Integrare gli immigrati non è solo un dovere morale o una questione di equità. Va fatto anche per ragioni di efficienza economica e lungimiranza politica. Se gli stranieri sono ben integrati i vantaggi che apportano alle economie ospitanti si amplificano e diminuiscono le probabilità di conflitto sociale».
A complicare le cose è però il fatto che – come ha sottolineato il presidente della Fondazione Ismu, Mariella Enoc, «oggi l’immigrazione è un tema non solo sociale, ma politico e addirittura elettorale». Dunque manipolato a seconda delle convenienze. Come ha ricordato Vincenzo Cesareo (segretario generale Fondazione Ismu) introducendo i lavori. «Un problema molto rilevante – ha detto il professore emerito dell’Università Cattolica citando dati tratti dall’indagine Ipsos Mori 2015 - è quella del divario che c’è tra la percezione che hanno gli italiani (e tutti gli europei) della presenza di immigrati e quella che è la loro presenza effettiva. Faccio solo due esempi: il primo è che gli italiani pensano che gli immigrati arrivano a rappresentare il 30% della popolazione italiana mentre, nella realtà, stiamo raggiungendo il 10%, che è certamente un salto notevole nel giro di pochi anni ma siamo appunto sotto il 10%. Il secondo: per la percezione degli italiani i musulmani sono tantissimi, il 20% degli immigrati, mentre in realtà sono il 4%. Questi due dati sono credo emblematici per dimostrare quanto si debba fare per creare e diffondere una conoscenza corretta del fenomeno migratorio sulla quale poi ognuno farà le analisi e le riflessioni che riterrà opportuno».
Una conoscenza che può contare da ieri sui dati aggiornati contenuti, appunto, nel Rapporto Ismu. Al primo gennaio 2016 la popolazione straniera in Italia ha raggiunto quota 5,9 milioni (regolari e non), con un aumento di 52mila unità (+0,9% rispetto all’anno precedente) e rappresenta il 9,58% della popolazione abitualmente residente nel Paese. L’incremento è dovuto soprattutto alla componente irregolare (+31mila unità): nel rapporto si stima che al 1° gennaio di quest’anno gli immigrati che non possedevano un valido titolo di soggiorno erano 435mila (404mila alla stessa data dell’anno precedente). A prima vista quindi l’incremento della popolazione immigrata sembrerebbe modesto.
Se però teniamo conto anche delle acquisizioni di cittadinanza avvenute nel 2015, lo scenario cambia e potremo leggere con più realismo i numeri effettivi della crescita. Nel 2015 i nuovi italiani sono infatti 178mila (contro i 130mila del 2014 e i 60mila del 2012). Se ai 52mila stranieri presenti conteggiati in più (regolari e non) si aggiungono i 178mila immigrati che hanno acquisito la cittadinanza italiana, l’incremento del numero complessivo dei presenti sale intanto a 230mila, con un aumento complessivo del 3,9 per cento.
«I dati indicano, dunque, che la crescita c’è, ma non si vede e al tempo stesso sottolineano come gli immigrati in Italia sono in genere più stabili e integrati», ha detto Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia all’Università Bicocca e responsabile Settore Monitoraggio di Fondazione Ismu.