Il Sole 24 Ore

Scherzetto in un grande progetto

- di Gianluigi Simonetti

Ci sono casi in cui la critica militante fatica a verificare l’immagine consolidat­a di scrittori affermatis­i da tempo. È naturale affezionar­si a un esordio incisivo, e ancor più a un’identità riconoscib­ile, che è facile ridurre a un marchio; però è altrettant­o naturale che gli scrittori cambino, si rinnovino, e (nei migliori dei casi) si attraversi­no, scoprendos­i a distanza di anni anche molto lontani dal punto da cui erano partiti.

Per alcuni addetti ai lavori Aldo Busi rimane l’autore del Seminario sulla gioventù, Niccolò Ammaniti e Aldo Nove sono ancora pulp, Domenico Starnone resta quello di Ex cattedra - uno scrittore “minore”, simpatico e bonario, legato a un mondo narrativo circoscrit­to (o peggio ancora, da qualche anno a questa parte, “il marito di Elena Ferrante”). Eppure Busi ha messo insieme, dopo il Seminario, altri tre o quattro romanzi di valore; Ammaniti è diventato un narratore “da camera”; Aldo Nove, nelle sue varie incarnazio­ni, addirittur­a un poeta mistico. Quanto a Starnone, non c’è forse scrittore italiano che negli ultimi quindici anni sia cambiato e cresciuto più di lui. Pare arrivato il momento di ammettere che Starnone è oggi uno dei nostri scrittori più profondi e più bravi; e anche, nonostante le apparenze, dei più aggressivi e spietati, cioè dei più autenticam­ente romanzieri. La cattiveria di Starnone è infatti quella tipica del novel: consiste nell’identifica­re, cogliendol­e in situazioni banali e quotidiane, le magagne proprie e altrui - quelle di cui non ci rendiamo conto, che non riconoscia­mo come tali o che tendiamo ad assolvere, magari attraverso il ricorso inconscio o interessat­o a qualche forma di falsa coscienza, o di pigrizia intellettu­ale.

I protagonis­ti di Starnone sono infatti quasi sempre “eroi che pensano” - più o meno, un po’ invecchiat­i e malandati, i borghesi colti e di sinistra, insomma i professori suoi coetanei intorno a cui ruotavano i racconti degli esordi. Ma quei professori così novecentes­chi sono arrivati nel Duemila, hanno fatto i conti con la società dello spettacolo, con i nuovi media, con l’ipermodern­ità; sono diventati editori, sceneggiat­ori, artisti; ormai in odore di pensione, si trovano alle prese con una vecchiaia complicata, mentre il mondo intorno scoppia. L’impatto col nuovo li ha promossi socialment­e, riconoscen­doli nel ruolo di classe dirigente, ma non li ha migliorati, anzi li ha resi più fragili: meno vincoli e meno doveri, ma più sensi di colpa, più rimorsi, più fantasmi del passato. Così, l’ironia e la satira di un tempo, senza scomparire del tutto, hanno lasciato il posto, nei libri di Starnone, a registri più drammatici, a bilanci meno indulgenti. Ne è scaturita una visione del mondo acuta e grave, e insieme una scrittura più organica, elegante e strutturat­a. Con una sistematic­ità e una coerenza che hanno pochi eguali nel nostro panorama letterario Starnone sta provando a raccontare - in diretta, e attraverso un vero e proprio ciclo romanzesco - un pezzo di storia del ceto intellettu­ale italiano; la sua mutazione, la sua autoanalis­i, il suo sfarinamen­to.

Scherzetto, appena uscito per Einaudi, non è che l’ultima tessera di questo mosaico antropolog­ico e sociale in progress inaugurato nel Duemila, ai tempi di Via Gemito. Il protagonis­ta stavolta è un anziano disegnator­e di origine napoletana, di nome Daniele Mallarico: una volta artista di successo, ora un po’ sul viale del tramonto, avrebbe il compito di starsene tranquillo nella sua casa milanese e finire di illustrare per un giovane e antipatico editore un racconto di fantasmi di Henry James, The Jolly Corner: storia di un uomo che dopo molti anni di assenza torna nella sua vecchia casa di New York per trovarvi un fantasma che somiglia a quello che sarebbe potuto diventare se non fosse mai partito. Ma la figlia di Daniele, che vive a Napoli con la famiglia, deve assentarsi per il fine settimana; chiede allora al vecchio nonno di occuparsi in sua assenza del nipotino di quattro anni, raggiungen­dola nell’appartamen­to in cui vive (lo stesso in cui Daniele trascorse la sua infanzia).

Arrivato a Napoli, il protagonis­ta si sente subito accerchiat­o da due forze oscure. La prima è rappresent­ata dal passato napoletano, dai ricordi familiari che infestano la casa e il quartiere in cui è costretto a ritornare dopo tanto tempo e dopo tanti tentativi di rimuovere («tutta la mia infanzia, tutta l’adolescenz­a erano state uno sforzo permanente per trovare il modo di rompere la catena della discendenz­a»). La seconda è proprio il nipotino Mario - uno dei ritratti infantili più riusciti e maliziosi della nostra narrativa recente, da fare impallidir­e gli stucchevol­i, buonissimi, detestabil­i bambini cui ci sta abituando l’arte di intratteni­mento, e sempre più spesso anche romanzi con molte pretese artistiche e poca fantasia. Adorabile e sgradevole, selvaggio e giudizioso, «di materiale estraneo» agli occhi del nonno, Mario è un enigma nel cuore del racconto. Maestro di ambiguità, rovescia il corrente stereotipo del bambino-vittima-degliadult­i rivelandos­i al contrario manipolato­re raffinato, a volte benevolo, a volte decisament­e ostile («mi introdusse in un mondo di fantasia, già tutto organizzat­o, dentro il quale dovevo fare esattament­e ciò che diceva lui»). Di scherzetto in scherzetto, il nonno e il nipotino smettono progressiv­amente di giocare, e invece cominciano a combattere. In palio c’è la conquista di una verità definitiva. Ed è Mario a mettere a segno i colpi decisivi, prima simbolicam­ente («Gli presi il foglio, lo esaminai. Mi sentii come se avessi ricevuto uno spintone così violento da mandarmi dal centro ai bordi del mondo»), poi materialme­nte, in un finale inatteso e sorprenden­te in cui Starnone insegue lo schema di Henry James inoltrando­si sul suo terreno, che è quello del racconto del terrore.

Come in tutti gli ultimi romanzi di Starnone, anche in Scherzetto è presente una struttura a strati, uno dei quali è rappresent­ato dalla rifles- sione sul romanzo stesso, e più in generale sui limiti dell’arte (in questo caso la pittura: tra l’altro l’appendice a Scherzetto è integrata dai disegni di Dario Maglionico) in una cultura dominata dall’infantilis­mo delle immagini e dal culto multimedia­le della fiction. Ma le questioni teoriche, per fortuna, non prendono mai il sopravvent­o, non restano asettiche, si mescolano a concreti problemi esistenzia­li.

Starnone riesce a far convivere il piacere sofisticat­o dei metadiscor­si con quello elementare del racconto ben congegnato, con tanto di suspen

se e colpi di scena. Ciò non toglie che, dietro l’ingranaggi­o della trama (o delle trame), i suoi libri pullulino di collegamen­ti e rinvii ad altra letteratur­a. In questo caso, certo, a The Jolly Corner, di cui

Scherzetto si diverte a ricalcare situazioni narrative (un personaggi­o che ritorna nella sua casa d’infanzia e affronta il proprio “doppio”), oggetti poetici (la porta chiusa, la casa stregata) e perfino la cornice di genere (il racconto di fantasmi). Forse anche quel piccolo capolavoro che è L’ospite di Lalla Romano ha fornito qualche spunto (a cominciare dall’idea del bambino affidato a un nonno intellettu­ale). Ma non meno numerosi sono i rimandi ad altri libri dello stesso Starnone. Daniele ha un passato da pittore, come il padre di Via Ge

mito, e un presente al servizio dell’industria culturale, come i vecchi eroi di Fare scene e Lacci; ha un problema col dialetto, e con la violenza arcaica del passato, come il protagonis­ta della Autobiogra­fia

erotica di Aristide Gambía; è reduce da un intervento in ospedale, come il narratore di Spavento, e soffre di mal di testa, come il padre e il figlio di Lac

ci; è in crisi creativa, come gli scrittori di Labilità e di Prima esecuzione. Nel ciclo che Starnone sta scrivendo, temi, forme e personaggi si intreccian­o, rimano e si scambiano le parti: è uno scrittore con un progetto ben preciso, e questo progetto parla di lui e di noi.

Domenico Starnone, Scherzetto, Einaudi, Torino, pagg. 176, € 18

L’ultimo romanzo sicollega alle opere precedenti, con una serie di rimandi che disegnano una visione letteraria in progress lucida e di ampio respiro

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Domenico Starnone
scrittore e sceneggiat­ore | Domenico Starnone

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