Provvida amicizia
Leonardo Sciascia, alcuni anni prima che diventasse il Leonardo Sciascia noto al pubblico dei lettori, disegnato a china da un amico che ebbe un ruolo decisivo nel rivelarne i talenti di scrittore. Mario Fagiolo, di professione architetto, pubblicava poesie in romanesco sotto lo pseudonimo Mario dell’Arco. Nel 1949 Sciascia le recensì in «Sicilia del Popolo», edizione palermitana dell’organo democristiano «Il Popolo». L’amicizia che ne conseguì avrebbe portato alla pubblicazione dei due libri che segnano l’esordio di Sciascia: Favole della dittatura, 1950; La Sicilia, il suo cuore, poesie, 1952. Fu il medesimo Dell’Arco a curarne la stampa.
Ignoto alle bibliografie, anche Il mio amico Leonardo apparve in «Sicilia del Popolo», il 31 marzo 1953: e ci mostra un personaggio sorprendente e familiare nello stesso tempo: un assorto taciturno non-turista che, senza perdere d’occhio i propri morti «fuori l’uscio di casa», si cala dentro Roma a seguire le orme di una morte vivificante impersonata dal suo Caravaggio, e anche – così vicino nel tempo e nello spazio che quasi lo si potrebbe toccare – dal suo Scipione: «il nostro barocco si chiama Scipione».
Sciascia fece conoscere a Mario dell’Arco gli indovinelli siciliani, e questi li tradusse in romanesco. Uno dei primi lo dedicò proprio all’amico Leonardo, in una lettera del 7 settembre 1950: «In cinque a spigne / una che arranca / sementa nera / maggese bianca». Se questo non era, come si sa, un indovinello siciliano, fu un gesto gentile il volgere in romanesco la variante sicula di quell’«indovinello veronese» che è una prima radice dell’italiano antico: un omaggio, proprio come Il mio amico Leonardo, agli «alba pratalia» di uno scrittore nascente.