Se la corsa al seggio risveglia la passione politica
Un dato inaspettato: un’affluenza che in complesso arriva al 68,4% dell’elettorato, che al Nord lo supera di molto, al Centro rimane lì intorno e solo al Sud registra una qualche flessione, pur superando comunque la soglia della metà degli aventi diritto segnala un’inversione di tendenza rispetto alle ultime tornate elettorali. Si deve dire che, almeno in questo caso, la voglia di partecipare è tornata ad essere dominante nel Paese. Certo più del 30% o giù di lì di elettori che rimangono a casa non è esattamente poca cosa.
Ma bisogna anche dire che, oltre a disinteresse, in questo astensionismo particolare potrebbe essere presente semplicemente una scelta di accettazione di quanto era stato deciso a livello parlamentare. In fondo in questi referendum non c’è nessun quorum, proprio nella presunzione che in questo caso specifico chi tace si potrebbe presumere acconsenta. Non è ovviamente così.
Non speculiamo su questo dato, quanto mai volatile, ma concentriamoci sul dato duro dell’alta partecipazione. Appare abbastanza scontata la differenza fra le tre zone tradizionali del paese, che confermano un Nord più capace di passioni politiche, un Sud meno mobilitabile e un centro che sta più o meno nel mezzo. Bisognerà vedere le percentuali raccolte in queste aree dai due schieramenti per capire se si tratti di un modo di accostarsi alla vita politica piuttosto generalizzato oppure se uno dei due schieramenti sia stato più capace dell’altro di incentivare la partecipazione in qualcuna di queste zone. Non è un dato da poco e si presterà indubbiamente a valutazioni interessanti.
Intanto però la domanda de- terminante è cosa abbia risvegliato la voglia di partecipazione dei cittadini.
In origine si era detto che un quesito complesso come è quello costituzionale (prescindendo dalla sua formulazione sulla scheda che rileva molto poco) non era molto adatto a spingere gli elettori alle urne. In seguito si è notato che tutto è stato semplificato in uno scontro senza sfumature fra chi era a favore del cambiamento a prescindere e chi il cambiamento non lo voleva preferendo tenersi il vecchio equilibrio. Perché in definitiva di questo si è discusso molto più che delle tecnicalità di una riforma complessa.
Allora la prima domanda è se l’appello populista sia stato determinante per portare alle urne un numero così considerevole di elettori. È probabile che nei prossimi giorni si tenderà a dare una risposta positiva al quesito, sulla scorta della considerazione che in ultima istanza di questi tempi spesso premia il ridurre tutto lo scontro a una partita che contrappone i buoni e i cattivi (con etichette che naturalmente si invertono a seconda delle squadre in campo).
Non è però una constatazione priva di problemi, perché ciò significa anche che le forze politiche, qualunque sia quella che prevarrà, saranno poi inchiodate agli slogan populisti che hanno lanciato apparentemente con così gran successo.
Ciò sarà particolarmente problematico per le forze che hanno sostenuto il No, che sono molto poco omogenee fra di loro, per cui ciascuna componente tenderà a prevalere limitando le possibilità di manovra delle altre semplicemente rinfacciando loro tradimenti più o meno ipotetici di quanto agitato nelle campagne populiste che si sono sostenute.
La seconda domanda inevitabile è chi trarrà maggior vantaggio da questa ampia partecipazione. Se nel fronte del Sì i voti, vincenti o meno che siano, finiranno per iscriversi nel palmarès di Renzi, in quello del No la faccenda è molto più complicata, perché ci sarà da valutare chi possa essere considerato il vincitore del derby fra Salvini e Grillo e da capire cosa ci caveranno le varie forze minori che dal centro, da destra e da sinistra hanno fatto da portatori d’acqua ai due protagonisti dello scontro.
Rimane certamente che il Paese esce da questa prova con un inevitabile rinvio alla prossima prova che sarà una tornata elet- torale: difficile che una spaccatura quasi a metà come quella che si profila possa far considerare il risultato del 4 dicembre come conclusivo.
La parte del paese che partecipa alla vita politica e che, grazie al cielo, è ancora maggioritaria non sa però ancora scegliere con decisione fra le due alternative, ciascuna con le sue luci e le sue ombre. Con o senza un’ampia revisione dei nostri meccanismi di gestione della vita politica ci sono grandi problemi e grandi sfide da affrontare e per gestire questo passaggio difficile ci sarebbe bisogno di qualcosa di più di un derby fra angeli e demoni deciso più o meno ai punti.
I RISCHI In futuro le forze politiche, qualunque sia quella che prevarrà, rischiano di essere inchiodate agli slogan populisti