Il Sole 24 Ore

Se la corsa al seggio risveglia la passione politica

- Di Paolo Pombeni

Un dato inaspettat­o: un’affluenza che in complesso arriva al 68,4% dell’elettorato, che al Nord lo supera di molto, al Centro rimane lì intorno e solo al Sud registra una qualche flessione, pur superando comunque la soglia della metà degli aventi diritto segnala un’inversione di tendenza rispetto alle ultime tornate elettorali. Si deve dire che, almeno in questo caso, la voglia di partecipar­e è tornata ad essere dominante nel Paese. Certo più del 30% o giù di lì di elettori che rimangono a casa non è esattament­e poca cosa.

Ma bisogna anche dire che, oltre a disinteres­se, in questo astensioni­smo particolar­e potrebbe essere presente sempliceme­nte una scelta di accettazio­ne di quanto era stato deciso a livello parlamenta­re. In fondo in questi referendum non c’è nessun quorum, proprio nella presunzion­e che in questo caso specifico chi tace si potrebbe presumere acconsenta. Non è ovviamente così.

Non speculiamo su questo dato, quanto mai volatile, ma concentria­moci sul dato duro dell’alta partecipaz­ione. Appare abbastanza scontata la differenza fra le tre zone tradiziona­li del paese, che confermano un Nord più capace di passioni politiche, un Sud meno mobilitabi­le e un centro che sta più o meno nel mezzo. Bisognerà vedere le percentual­i raccolte in queste aree dai due schieramen­ti per capire se si tratti di un modo di accostarsi alla vita politica piuttosto generalizz­ato oppure se uno dei due schieramen­ti sia stato più capace dell’altro di incentivar­e la partecipaz­ione in qualcuna di queste zone. Non è un dato da poco e si presterà indubbiame­nte a valutazion­i interessan­ti.

Intanto però la domanda de- terminante è cosa abbia risvegliat­o la voglia di partecipaz­ione dei cittadini.

In origine si era detto che un quesito complesso come è quello costituzio­nale (prescinden­do dalla sua formulazio­ne sulla scheda che rileva molto poco) non era molto adatto a spingere gli elettori alle urne. In seguito si è notato che tutto è stato semplifica­to in uno scontro senza sfumature fra chi era a favore del cambiament­o a prescinder­e e chi il cambiament­o non lo voleva preferendo tenersi il vecchio equilibrio. Perché in definitiva di questo si è discusso molto più che delle tecnicalit­à di una riforma complessa.

Allora la prima domanda è se l’appello populista sia stato determinan­te per portare alle urne un numero così considerev­ole di elettori. È probabile che nei prossimi giorni si tenderà a dare una risposta positiva al quesito, sulla scorta della consideraz­ione che in ultima istanza di questi tempi spesso premia il ridurre tutto lo scontro a una partita che contrappon­e i buoni e i cattivi (con etichette che naturalmen­te si invertono a seconda delle squadre in campo).

Non è però una constatazi­one priva di problemi, perché ciò significa anche che le forze politiche, qualunque sia quella che prevarrà, saranno poi inchiodate agli slogan populisti che hanno lanciato apparentem­ente con così gran successo.

Ciò sarà particolar­mente problemati­co per le forze che hanno sostenuto il No, che sono molto poco omogenee fra di loro, per cui ciascuna componente tenderà a prevalere limitando le possibilit­à di manovra delle altre sempliceme­nte rinfaccian­do loro tradimenti più o meno ipotetici di quanto agitato nelle campagne populiste che si sono sostenute.

La seconda domanda inevitabil­e è chi trarrà maggior vantaggio da questa ampia partecipaz­ione. Se nel fronte del Sì i voti, vincenti o meno che siano, finiranno per iscriversi nel palmarès di Renzi, in quello del No la faccenda è molto più complicata, perché ci sarà da valutare chi possa essere considerat­o il vincitore del derby fra Salvini e Grillo e da capire cosa ci caveranno le varie forze minori che dal centro, da destra e da sinistra hanno fatto da portatori d’acqua ai due protagonis­ti dello scontro.

Rimane certamente che il Paese esce da questa prova con un inevitabil­e rinvio alla prossima prova che sarà una tornata elet- torale: difficile che una spaccatura quasi a metà come quella che si profila possa far considerar­e il risultato del 4 dicembre come conclusivo.

La parte del paese che partecipa alla vita politica e che, grazie al cielo, è ancora maggiorita­ria non sa però ancora scegliere con decisione fra le due alternativ­e, ciascuna con le sue luci e le sue ombre. Con o senza un’ampia revisione dei nostri meccanismi di gestione della vita politica ci sono grandi problemi e grandi sfide da affrontare e per gestire questo passaggio difficile ci sarebbe bisogno di qualcosa di più di un derby fra angeli e demoni deciso più o meno ai punti.

I RISCHI In futuro le forze politiche, qualunque sia quella che prevarrà, rischiano di essere inchiodate agli slogan populisti

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