Il Sole 24 Ore

L’avvertimen­to di Trump alla Cina non è stato casuale

- Mario Platero

La telefonata di Donald Trump al leader di Taipei Tasi Ing-Wen non è stata casuale. Eppure molti continuano a liquidare la comunicazi­one con Taiwan come il risultato di una gaffe dovuta all’inesperien­za del neo presidente americano e del suo gruppo. Sbagliano. La decisione è stata presa sapendo benissimo quali sarebbero state le conseguenz­e. Che piaccia o no, il “nuovo” paradigma Trump non esclude di rimettere in gioco lo status quo internazio­nale. E proprio ieri ha annunciato che proporrà una “tassa di confine”, una penale del 35% per le aziende americane che trasferira­nno posti di lavoro all’estero. Anche questa è una misura che potrebbe colpire la Cina.

Ma è la dinamica seguita con Taiwan a scoprire le carte: l’apparente casualità era una maschera, la telefonata diventa il veicolo per un messaggio che ha scosso l’intero teatro asiatico e di cui si parla nel mondo intero. Lo hanno certamente capito a Pechino: la prima reazione è stata morbida, poi una dura protesta formale che ha minacciato di rimettere in gioco le relazioni fra i due Paesi.

Alcuni mesi fa il capo di Gabinetto di Trump Reince Priebus aveva visitato a Taiwan Tsai Ing-wen. La nuova presidente del partito progressis­ta aveva sconfitto il Kuomitang e la vecchia politica per un «dialogo aperto e costruttiv­o» con Pechino. La durezza con cui la Cina aveva soppresso l’autonomia di Hong Kong non aveva rassicurat­o i taiwanesi. Esperti dell’Enterprise Institute, un think tank della destra non vicino a Trump, avevano elaborato progetti per approfitta­rne e rafforzare le relazioni con Taiwan come arma negoziale nei confronti della Cina. Non solo, John Bolton, ex ambasciato­re di Bush all’Onu ed esponente della destra del partito, ha scritto un articolo sul Wall Street Journal proponendo di usare la “carta Taiwan” per rispondere alle aggressive politiche cinesi nei mari cinesi del Sud e in quelli orientali «mettendo anche in gioco l’ambigua politica di una Sola Cina» fino a suggerire la riapertura di «piene relazioni di- plomatiche con Taiwan». Bolton era in corsa per il dipartimen­to di Stato dell’amministra­zione Trump, resta in corsa per una posizione alla Casa Bianca.

Questa dinamica esclude l’improvvisa­zione. La domanda è un’altra, con la sua uscita casuale Trump ha voluto davvero affermare l’avvio di una nuova politica del confronto con Pechino? O solo tastare il terreno? Come risponderà la Cina a questo affronto, certamente inatteso? I diplomatic­i anticipano che una risposta di Pechino ci sarà per chiarire che da un aumento della tensione non ci guadagnerà nessuno anche sul piano economico. Tanto più che pochi giorni fa la Cina aveva finalmente accettato di votare per sanzioni Onu contro la Corea del Nord e

UN IMPRENDITO­RE ALLA CASA BIANCA Il presidente eletto ha minacciato di punire con una «tassa di confine» le aziende che trasferira­nno posti di lavoro all’estero

i suoi progetti nucleari. Un “successo” per la diplomazia dell’amministra­zione Obama.

Molti repubblica­ni però erano stati critici. Per loro la lista della poca cooperazio­ne della Cina riguarda non solo la Corea del Nord ma il potenziame­nto militare, la costruzion­e di isole artificial­i nei mari cinesi del Sud, il confronto con il Giappone. E dopo la telefonata il senatore John Cotton dell’Arkansas ha elogiato Trumpo dicendo che «lo sviluppo riafferma l'impegno americano a favore dell’unica democrazia in Cina». Nessuna ingenuità o casualità dunque. Trump sapeva quel che faceva ma può restare ambiguo anche perché è capacissim­o di ribaltare una sua posizione anche di 180°. E forse lo farà anche per la Cina e la “one China policy”, ma per ora è rimasto vago. Abituiamoc­i a questo tipo di incursioni, tipiche del negoziator­e d’affari. Vedremo chi sarà il prossimo.

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