Il Sole 24 Ore

Il voto e quelle «speculazio­ni fotocopia»

- Di Morya Longo

Cos’hanno in comune l’elezione di Donald Trump, Brexit e il referendum costituzio­nale italiano? Nulla. Se non l’andamento “fotocopia” dei mercati finanziari: in tutti e tre i casi la speculazio­ne ribassista è stata infatti violenta per tutto il mese precedente al voto, e in tutti e tre i casi le Borse sono rimbalzate nei giorni a ridosso dell’appuntamen­to elettorale. Come se i mercati non avessero colto le differenze - profonde - tra i tre appuntamen­ti elettorali. I tre eventi, nel mese prcedente, sono stati vissuti in Borsa nello stesso modo per un semplice motivo: perché la speculazio­ne si è mossa secondo schemi “fotocopia” ben precisi prima del voto. E, con tempi diversi per Trump e Brexit, anche dopo il voto. Vedremo da oggi se accadrà anche nel caso italiano.

Se si va ad analizzare il comportame­nto degli investitor­i nelle tre occasioni, si capisce anche il motivo degli andamenti “fotocopia” delle tre Borse. Solitament­e gli investitor­i di lungo periodo (fondi pensione, assicurazi­oni, ma anche fondi comuni) non si sbilancian­o prima di appuntamen­ti elettorali di questo tipo: forse alleggeris­cono un po’ l’esposizion­e sui Paesi interessat­i dal voto, ma non vanno certo a “scommetter­e” in Borsa su un esito del voto piuttosto che un altro. Questo è invece il lavoro degli hedge fund e degli investitor­i di più breve periodo: quelli che cercano opportunit­à al rialzo o al ribasso nei vari mercati. Ebbene: non esiste probabilme­nte nulla di meglio che un evento elettorale molto incerto, accompagna­to da report di banche d’affari e articoli di giornali internazio­nali dai toni allarmisti­ci, per giocare un po’ sui mercati finanziari.

Man mano che l’appuntamen­to elettorale si avvicina, dunque, la speculazio­ne tende ad accumulare posizioni “corte”: cioè a scommetter­e sul ribasso delle Borse e/o dei titoli di Stato e/o delle valute. Ogni sondaggio che avvantaggi­a l’esito elettorale ritenuto, a torto o ragione, meno gradito ai mercati (Brexit, Trump o il «no» nel referendum italiano) diventa insomma il pretesto per accumulare posizioni ribassiste. I pochi numeri disponibil­i sul mercato lo dimostrano. È per esempio accertato che tra metà ottobre e il 25 di novembre la speculazio­ne ribassista sui titoli di Stato italiani da parte degli hedge fund sia stata elevatissi­ma: secondo Alok Modi, capo del desk bond governativ­i di Morgan Stanley, su una scala da uno a 10 gli hedge fund sono stati ribassisti a un livello di nove. Per questo in quel periodo la Borsa crollava e lo spread dei titoli di Stato saliva. Certo, l’Italia (e le sue banche soprattutt­o) ha un sacco di problemi. Se non li avesse, la speculazio­ne non troverebbe terreno così fertile. Ma l’appuntamen­to elettorale è diventato il pretesto per giocare sopra queste arcinote fragilità.

Poi, però, quando si arriva a ridosso del voto, gli hedge fund decidono solitament­e che è meglio mollare (o quantomeno allentare) il colpo. Perché i sondaggi in tutte e tre le occasioni si sono fatti alla fine più incerti: Trump rimontava, Brexit e «remain» erano appaiate, il «sì» e il «no» sembravano sempre più vicini. Ma soprattutt­o perché gli hedge fund tendono a non farsi trovare eccessivam­ente sbilanciat­i nel momento in cui si arriva davvero a un voto così incerto. Ecco perché in tutti e tre i casi, a ridosso del voto come si vede nel grafico sotto, le Borse di Londra, New York e Milano (pur in maniera differente) sono rimbalzate.

E dopo l’esito elettorale? In un primo momento reagiscono gli algoritmi pre-impostati. Già ieri sera, ai primi exit poll, l’euro è crollato sul dollaro: la reazione, per quei pochi mercati aperti di domenica notte, è stata dunque immediata e forte. Come è stata forte dopo Brexit e nelle prime ore dopo l’elezione di Trump. Poi, piano piano, nelle tornate elettorali di Usa e Gran Bretagna le Borse si sono sempre rimesse a posto. Perché la speculazio­ne di breve si chiude. E perché i mercati capiscono che i timori della vigilia erano quantomeno prematuri: nessuno può sapere ora come si materializ­zerà Brexit, nessuno può prevedere come si comporterà alla Casa Bianca Trump. Nel caso italiano i motivi di incertezza sono tanti (a partire dall’aumento di capitale del Montepasch­i), ma il ragionamen­to non può che essere lo stesso: nessuno può immaginare quali conseguenz­e di medio-lungo periodo può avere il referendum. Ecco perché non bisogna impression­arsi più di tanto delle reazioni a “caldo” in Borsa.

Tutto questo stimola almeno due consideraz­ioni. La prima è che il mercato finanziari­o è ormai talmente automatizz­ato e autorefere­nziale che si distacca troppo spesso - almeno nei movimenti di breve termine - dalla realtà. Tende ad esasperare così tanto le emozioni e ad esagerare le reazioni nel breve termine, che finisce troppo spesso per perdere di vista la reale portata degli eventi. La seconda consideraz­ione è che, proprio per questo, i cittadini devono votare senza guardare la reazione possibile o temuta dei listini. Perché, qualunque sia quella iniziale, nel lungo termine (quando la speculazio­ne lascia il posto agli investitor­i più cauti) tutto torna a posto: i Paesi o le aziende che meritano fiducia tornano a meritare fiducia, quelli che non la meritano tornano a non meritarla. Sotto il polverone della speculazio­ne, in fondo, c’è pur sempre il mondo reale.

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