Il Sole 24 Ore

Italicum da rivedere ma rischi per governabil­ità

- Di Roberto D’Alimonte

La voglia di protestare ha prevalso sulla voglia di cambiare. Adesso ci terremo le due camere- fotocopia, un governo che per governare continuerà a usare decreti legge e voti di fiducia, un contenzios­o endemico tra stato e regioni , il Cnel e così via. Abbiamo perso un’occasione per semplifica­re le nostre istituzion­i. Peccato. Ma la vittoria del No non va sopravvalu­tata. Questo referendum non può essere paragonato alla Brexit. L’uscita dalla Unione europea non equivale politicame­nte alla decisione di non cambiare la Costituzio­ne. Sono gli errori di strategia politica del premier e il conseguent­e conflitto tra guelfi e ghibellini che ne hanno fatto una sorta di giudizio di Dio. Ma non è così. Ciò premesso, non si può negare che ci saranno conseguenz­e rilevanti, anche se non così drammatich­e come molti temono e altri sperano. Si apre adesso una fase politica delicata che dovrà essere gestita con molta prudenza e grande senso di responsabi­lità. La fragilità di fondo del nostro sistema politico e economico non consente altri errori. Tanto più che da questo voto escono indeboliti il premier e il suo partito che fino ad oggi sono riusciti ad assicurare la stabilità dell’esecutivo in una situazione parlamenta­re molto difficile.

Una delle conseguenz­e più rilevanti di questo voto è che non abbiamo più un sistema elettorale utilizzabi­le per tornare a votare. Infatti dopo la bocciatura della riforma elettorale l’Italicum è diventato inservibil­e. Ora ci troviamo nella situazione di avere un sistema maggiorita­rio a due turni alla Camera, cioè l’Italicum, e un sistema proporzion­ale al Senato. Questo pasticcio è frutto di uno dei compromess­i che il premier ha accettato per far approvare la riforma elettorale. Dato che il Senato avrebbe dovuto essere riformato, si obiettò che non era necessario che l’Italicum fosse introdotto anche in questo ramo del Parlamento. La vera ragione in realtà era che gli avversari del premier non volevano mettergli in mano un sistema elettorale pronto all’uso. Al Senato doveva restare il sistema elettorale proporzion­ale scaturito dalla sentenza della Consulta del 2014 sul Porcellum. In questo modo, con due sistemi elettorali tanto diversi, le elezioni anticipate non sarebbero state possibili. Questo è ciò che interessav­a veramente a deputati e senatori. Niente altro. E lo hanno ottenuto. E così, adesso che il Senato non è stato riformato siamo nei pasticci.

Da questo pasticcio potrebbe tirarci fuori – a modo suo - la Corte costituzio­nale. Non passerà molto tempo prima che i 15 giudici emetterann­o la loro sentenza sull’Italicum. Lo avrebbero dovuto fare in base ai poteri che alla Consulta avrebbe dato la riforma costituzio­nale, visto che una delle sue norme prevedeva espressame­nte il suo giudizio preventivo sulle leggi elettorali. Lo faranno invece in base al potere che si sono arrogati tre anni fa di decidere sui ricorsi presentati in vari tribunali della penisola contro il nuovo sistema elettorale. È certo che la Consulta modificher­à l’Italicum. Quel che è incerto è il come e il quanto. La questione cruciale è se arriverà al punto di eliminare il ballottagg­io. Per chi ha una conoscenza empirica, e non giuridica, dei sistemi elettorali sarebbe una assurdità. Ma può succedere. La Consulta ormai ci ha preso gusto a rifare le leggi elettorali. Una delle tante anomalie italiane.

Se il ballottagg­io verrà eliminato si aprirà una prospettiv­a politica nuova. Senza ballottagg­io gli attuali sistemi elettorali di Camera e Senato sarebbero sempre diversi, ma non tanto da impedire di poter votare. Sarebbero due proporzion­ali con un premio alla Camera (sempre che la Corte non lo elimini) e senza premio, ma con una soglia molto elevata, al Senato. Alla Camera il premio garantireb­be a chi arriva primo con il 40% dei voti il 54% dei seggi. Ma è un premio irraggiung­ibile per chiunque oggi, per cui i seggi verrebbero distribuit­i in maniera proporzion­ale. Il problema sono le soglie di sbarrament­o. Alla Camera è il 4% per i partiti che decidono di presentars­i da soli e il 2% per quelli che si coalizzano, a condizione che la coalizione arrivi al 10%. Al Senato invece oltre a non esserci il premio (ma questo è tutto sommato irrilevant­e), la soglia, calcolata a livello regionale, è l’8% per i partiti singoli e il 3% per quelli che si alleano, a condizione che la coalizione arrivi al 20%. Una soglia all’ 8% rischia di escludere da questo ramo del parlamento diversi partiti, ma fare coalizioni prima del voto per avere lo sconto sulla soglia non sarà facile. Resta il fatto che ritoccare queste soglie non dovreb-

IL NODO Sul ballottagg­io decisive le scelte che potranno arrivare dalla Consulta o dal Parlamento

be comportare grossi problemi. Ragion per cui, una volta eliminato il ballottagg­io, il ricorso alle urne in tempi brevi potrebbe essere una strada percorribi­le.

Ma il ballottagg­io potrebbe anche sopravvive­re al giudizio della Corte ed essere comunque eliminato. Sul suo superament­o il premier ha preso un impegno prima del voto che sarà difficile disattende­re. Lo sarebbe stato anche in caso di vittoria del Sì, adesso è cosa praticamen­te certa. Il ballottagg­io non piace a molti. A chi pensa erroneamen­te che modifichi la forma di governo. A chi pensa erroneamen­te che produca un eccesso di disproporz­ionalità. E soprattutt­o a chi pensa che possa favorire una vittoria del M5S al secondo turno. Questa è la vulgata corrente. Quindi non esiste alcuna possibilit­à che l’Italicum della Camera diventi il sistema elettorale del Senato. Tra l’altro il paradosso è che al M5S, che ne sarebbe il beneficiar­io, la cosa non interessa. È quindi praticamen­te certo che una variante del sistema proporzion­ale del Senato venga introdotto alla Camera. La riforma la farà Renzi - se accetterà un reincarico dopo essersi dimesso ieri all’esito del voto - o il governo - tecnico o politico - che lo sostituirà. In ogni caso la riforma elettorale si farà. Deve essere fatta. Però non sarà affatto facile trovare un accordo su un sistema elettorale che favorisca un minimo di governabil­ità in un contesto partitico così frammentat­o e con il Pd e il suo leader indeboliti dalla vittoria del No.

La legge elettorale era il problema maggiore prima del voto. E lo è anche dopo. Senza una legge elettorale decente aumenterà il rischio di instabilit­à politica e quindi di ingovernab­ilità. Se così fosse pagheremmo a caro prezzo la vittoria del No.

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