Partecipazione trainata dal Centro-Nord
Stavolta il quorum minimo su cui si sono infrante le consultazioni referendarie dal 1997 in poi (con l’unica eccezione del 2011 sull’acqua) non era richiesto ma è stato raggiunto e superato di slancio. Il terzo referendum costituzionale della storia repubblicana si impone come quello con la più alta partecipazione. Non solo. A sorpresa il risultato, non previsto alla vigilia, è stato tale da superare anche l’affluenza del voto politico più recente, quello delle Europee del 2014 quando andò a votare il 57,2%. Ma per trovare un numero paragonabile si deve guardare alle elezioni del 2013, quando il tasso di partecipazione toccò il 75,2%.
Insomma, il 68,4% di ieri è un autentico boom e la partecipa- zione diventa - dopo la prevalenza del No sul Sì - l’altro dato politico su cui si dovrà riflettere. Un exploit la cui misura si fa notare ancor di più con un confronto tra eventi omogenei - quindi con altri referendum costituzionali in cui si vota per confermare o respingere le modifiche parlamentari alla Carta -: doppiato il dato sull’affluenza del referendum del 2001 (34,1%), quando si votò sulla modifica del Titolo V della Costituzione; superata di gran lunga anche la soglia fatta registrare dieci anni fa quando gli elettori furono chiamati a esprimersi (in due giorni) sulla devolution, poi bocciata, targata centrodestra (53,6%). Resta staccato il dato sull’affluenza al referendum più recente, quello sulle trivellazioni (aprile 2016), quando andò a votare appena il 31,2%: una consultazione non valida perché non fu raggiunto il quorum del 50% più uno, in quel caso obbligatorio e non richiesto invece per la consultazione costituzionale di ieri.
Un contributo è arrivato anche dal voto degli italiani residenti all’estero. Dei circa 4 milioni di aventi diritto ha partecipato alla consultazione il 30,9%, dato lontano da quello nazionale ma comunque in aumento rispetto al 27,9% del re- ferendum costituzionale di dieci anni fa (nel 2001 la legge Tremaglia non era stata ancora approvata).
Che l’affluenza sarebbe stata non solo massiccia ma decisamente al di sopra di ogni previsione, si era capito già nel corso della giornata con il rilascio da parte del Viminale dei dati parziali: alle 12 era andato a votare il 20,1,% (7,8% nel 2001 e 10,1% nel 2006), diventato il 57,4% alle 19 (23,9% nel 2001 e 22,4% nel 2016). Fino al 68,4% a chiusura delle urne.
A spingere la partecipazione è stato soprattutto il Nord e il Centro. Tra le Regioni, infatti, il Veneto e l’Emilia Romagna hanno fatto registrare l’affluenza alle urne più alta, rispettivamente il 76,7 e 75,8%, seguite dalla Lombardia, con il 74,6%. Numeri che si assottigliano spostandosi verso Sud ma dovunque si rimane sopra la soglia simbolica (perché il referendum costituzionale non prevede un quorum) del 50%: l’ultima in classifica è la Calabria con il 44,34%, seguita dalla Sicilia, con il 45,06%.
Ancora più nel dettaglio: nelle grandi città la maggiore affluenza è stata registrata a Milano (74,1%), mentre a Torino la percentuale dei votanti è stata del 73,5% e a Roma del 71,7%. Come per le Regioni l’affluenza si affievolisce man mano che ci si sposta verso Sud: a Napoli ha votato il 56,5%, a Palermo alle urne è andato il 54,8% e a Reggio Calabria 53,1%. Tra gli altri capoluoghi si registra il record di Firenze: nella città in cui è nato Matteo Renzi e di cui il premier è stato sindaco tra il 2009 e il 2014 ha votato il 77,7% .
I PRECEDENTI Doppiato il risultato referendum costituzionale sul Titolo V (2001) e superato anche quello sulla devolution del 2006 (53,6%)