Ipotesi crisi-lampo e governo Padoan
pLa decisione di Matteo Renzi di prendere atto del risultato negativo delle urne è arrivata prima ancora che fossero resi pubblici gli exit poll, che hanno consegnato un vantaggio per il No fino a 20 punti (57/61 contro 39/43 l’ultimo exit ponderato). Tanto che la notizia della conferenza stampa a Palazzo Chigi per annunciare la sua volontà di rimettere nella mani del Capo dello Stato il mandato di presidente del Consiglio è stata diffusa, anche se informalmente, un’ora e mezzo prima della chiusura dei seggi. Ed è chiaro che la serata, trascorsa direttamente a Palazzo Chigi senza il previsto passaggio a Largo del Nazareno, è stata puntellata da considerazioni e paletti per il dopo. Renzi salirà dunque al Quirinale stamattina per rassegnare le dimissioni. E Sergio Mattarella non potrà che prenderne atto, tentando al massimo di convincere il premier e segretario del Pd a resta- re fino all’approvazione definitiva della manovra, in una sorta di dimissioni “congelate” fino a fine anno. Ma questa eventualità è poco congeniale al carattere di Renzi e pare esclusa dalle parole inequivocabili pronunciate da lui ieri notte («la mia esperienza di governo finisce qui»). E lui stesso ha fatto intendere che non sarà certo la necessità di approvare la legge di bilancio in Senato a cambiare il quadro: il sì della Camera è già arrivato, la manovra viaggia in sicurezza, e un governo ci sarà in ogni caso senza che il Paese corra il rischio dell’esercizio provvisorio («tutto il Paese sa che può contare su una guida autorevole e salda»).
La concomitanza dell’Eurogruppo a Bruxelles, stamane, con il ministro Pier Carlo Padoan a “difendere” i saldi della manovra del governo è illuminate, dal momento che proprio verso l’attuale ministro dell’Economia si volgono in queste ore gli occhi del Pd per la formazione di un governo che traghetti il Paese fino a nuove elezioni politiche. Già, perché anche dal Colle è trapelato nei giorni scorsi che, almeno in una prima fase successiva alle dimissioni di Renzi da Palazzo Chigi, il pallino resta comunque nella mani del leader del Pd. Un partito forte di oltre 400 parlamentari e senza il quale nessun governo avrebbe la fiducia delle Camere. Niente governi tecnici di scopo o del presidente, insomma, come ha avuto modo di chiarire più volte lo stesso Renzi in campagna elettorale. Certo, un conto è quello che si dice prima e un conto il quadro poli- tico del giorno dopo. Ma è nell’interesse dello stesso Renzi, che rimarrà comunque alla guida del Pd, trovare una soluzione politica puntando su una figura autorevole, rassicurante per l’Europa e per i mercati e a lui vicina: è appunto l’identikit di Padoan, identikit che si rafforza nell’ipotesi di un rapido cambio di governo con la legge di bilancio ancora da approvare in Senato.
È anche vero che uno dei principali compiti del nuovo governo, si fa notare in casa democratica, sarà quello di varare una nuova legge elettorale che uniformi il sistema ora in vigore per la Camera (il maggioritario Italicum) con quello in vigore per il “confermato” Senato (il proporzionale Consultellum con soglie lasciate in vita dalla sentenza della Consulta che due anni fa bocciò il Porcellum). Un compito squisitamente politico per cui sarebbe più adatta una figura come quella dei ministri Graziano Delrio o Dario Franceschini 7 Per governo di scopo si intende un esecutivo di natura politica risultato di un accordo tra la maggioranza relativa e una parte dell’opposizione che viene formato con l’obiettivo di realizzare alcune riforme indispensabili prima di andare al voto. Un governo che con quello del presidente o quello tecnico è sempre stato escluso dal premier Matteo Renzi in campagna elettorale in caso di vittoria del No. Certo uno dei principali compiti del nuovo governo sarà quello di varare una nuova legge elettorale che uniformi il sistema ora in vigore per la Camera (il maggioritario Italicum) con quello in vigore per il “confermato” Senato (il proporzionale Consultellum) (anche se in Parlamento si fa il nome dei due presidenti delle Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini). Ma è pur vero che sarà la stessa Consulta, nell’ipotesi non tanto remota che i partiti non riescano a mettersi d’accordo, a decidere ai primi di gennaio quale sarà la legge elettorale della Camera. Rimettendo il sistema potenzialmente in grado di andare verso nuove elezioni politiche. E dall’invito di Renzi ai promotori del No ad avanzare loro una proposta sulla legge elettorale si capisce che lui nella partita vuole entrarci il meno possibile, e che la faccia sul proporzionale non vuole mettercela.
Resta ferma l’idea di Renzi della necessità di andare alle urne politiche il prima possibile, una volta approvata la manovra e sistemata la legge elettorale. Ma certo i molti puntidiscartotraNoeSìchesiprofilano potrebbero da una parte indurre Renzi ad una maggiore cautela in fatto di urne anticipate, dall’altra rendere i gruppi parlamentari del Pd per così dire meno “disciplinati”. Come sempre in poltiica, il giorno dopo inizia un film del tutto nuovo.
LE ALTERNATIVE I ministri Delrio e Franceschini sono un’ ipotesi possibile per varare la legge elettorale. Si fanno anche i nomi di Grasso e Boldrini