Il Sole 24 Ore

Per spread e BTp subito il test post-voto

Faro sui titoli di Stato italiani ma impatto frenato dall’ombrello Bce

- Isabella Bufacchi isabella.bufacchi@@ilsoilsole­24ore.com @isa_bufacchi

pLo spread tra BTp e Bund decennali è arrivato “leggero” all’appuntamen­to del referendum, a quota 160 punti, un livello più largo dei 120 estivi ma più stretto rispetto al picco di 190 di fine novembre. Ma oggi per lo spread sarà una giornata “pesante” all’indomani di un referendum che farebbe emergere il peggiore e il meno probabile di tutti gli scenari previsti dai mercati, la grande vittoria dei NO e una sconfitta politica, uno schiaffo per Matteo Renzi. Di fronte al rischio di ingovernab­ilità, lo spread può riportarsi velocement­e in area 200, per poi stringersi se al panico dovesse subentrare un barlume di normalizza­zione o allargarsi a 250 se l’instabilit­à dovesse perdurare.

La protezione della Bce, anche se mirata a riportare l’inflazione vicina ma poco sotto il 2%, rende lo spread meno volatile rispetto al passato: il programma PSPP è decollato nel marzo 2015 con acquisti di BTp mesili attorno a 7-8 miliardi e ora è salito a circa 12 miliardi.

Il rendimento dei BTp decennali è riuscito ad arrivare al voto sulla riforma costituzio­nale al di sotto della soglia psicologic­a del 2%, all’1,91%, lontano dalla vetta del 2,10% raggiunta nei momenti pre-voto di massima tensione. Ma molto più alto dell’1,20% d’inizio autunno.

Questo atteggiame­nto del mercato, che ha limitato il sell-off sui BTp prima del voto, si spiega con un misto di condizioni, impercetti­bili umori e aspetti tecnici: 1) i mercati in linea di massima hanno deciso di non prevedere il caos in Italia e hanno scommesso su una vittoria del SI o del No di misura che non porta all’ingovernab­ilità; 2) lo scudo della QE della Bce potrebbe essere rafforzato già l’8 Dicembre, con l’annuncio di acquisti di titoli di Stato per più tempo e nessuno va contro una banca cen- 7 Con l’acronimo Pspp (Public sector purchase programme) si intende il piano di riacquisti di titoli, in gran parte di Stato, avviato dalla Banca centrale europea dal mese di marzo del 2015. È una misura di politica monetaria non convenzion­ale, più nota con il termine Quantitati­ve easing (Qe), attraverso la quale l’istituto centrale dell’eurozona immette liquidità sul mercato nel tentativo di scongiurar­e il rischio deflazione e rilanciare la crescita. Nelle originarie intenzioni di Francofort­e il piano era destinato a proseguire almeno fino a settembre 2016, poi prolungato fino a marzo 2017. trale , soprattutt­o pochi giorni prima una mossa molto attesa; 3) i titoli di Stato italiani sono detenuti principalm­ente da istituzion­i italiane, la Banca d’Italia (tramite l’Eurosistem­a e il PSPP della Bce), le banche e le compagnie di assicurazi­one, che non sono venditori in caso di crisi; il Tesoro ha concluso le aste 2016 (in sospeso solo l’ultima emissione di BoT che si terrà il 12 dicembre) mentre il 15 dicembre il rimborso di un BTp per 15,5 miliardi contribuir­à a dare un’iniezione di liquidità; inoltre il Tesoro ha messo a segno quest’anno finora il costo medio alla raccolta più basso di tutti i tempi, attorno allo 0,54%, e questo allenta le preoccupaz­ioni perchè un’eventuale impennata del costo della raccolta per il rifinanzia­mento del debito pubblico avrebbe tempi lunghi, consideran­do anche la vita media di 6,76 anni; 4) i libri dei grandi investitor­i sono chiusi o in via di chiusura, e sulle scrivanie dei traders è iniziato lo studio degli outlook 2017; 5) le due principali agenzie di rating, S&P’s e Mooyd’s, non minacciano di declassare l’Italia per la turbolenza politica e hanno confermato le prospettiv­e “stabili”. La retrocessi­one più possibile post-voto, quella di DBRS dalla A-low alla “BBB-high” avrebbe un impatto sull’haircut dei titoli di Stato italiani utilizzati come collateral­e dalle banche per finanziars­i presso la Bce, ma il rischio-Italia resterebbe saldamente nell’area della tripla “BBB” dove si trova da anni.

Con l’avvicinars­i dell’apertura dei seggi, i detentori dei titoli di Stato italiani hanno ridotto le loro posizioni lunghe, i possessori eu- ropei avevano posizioni lunghe che hanno ridimensio­nato molto ma non le hanno chiuse; gli investitor­i americani, che erano molto esposti sull’Italia e avevano aumentato i BTp nei portafogli negli ultimi mesi, hanno preferito arrivare al referendum neutrali. Nel complesso gli investitor­i esteri, che detengono una quota oramai molto ridotta, attorno al 25% dei titoli di Stato italiani (su un totale di 1.875 miliardi) hanno preso una posizione attendista e non catastrofi­sta nei confronti del rischioIta­lia. Prima del voto è stata tagliala la speculazio­ne “short” di chi puntava pesantemen­te al crollo: i mercati, basandosi sui sondaggi e sul sentito dire, pur escludendo la vittoria del “SI” hanno dato all’Italia il beneficio del dubbio: anche con una vittoria del “NO”, ritengono che il Paese più indebitato dell’Eurozona dopo la Grecia sarà capace di “tenere la barra dritta” di fronte all’ascesa dei voti di protesta, dei partiti populisti anti-euro.

Il 2016 però sta chiudendo i battenti e i mercati iniziano già da adesso a guardare a un 2017 carico di rischio politico europeo, dall’incognita di Brexit e dalle incertezze geopolitic­he e non solo sul nuovo inquilino alla Casa Bianca: per l’Italia, il prossimo sarà un anno comunque pesante in termine di rimborso di titoli di Stato rispetto al 2016, Il programma di emissioni lorde del Mef nel 2016 dovrebbe chiudersi attorno a quota 385 miliardi mentre per il prossimo anno è già previsto che risalirà sopra i 400 miliardi, per coprire massicce scadenze di titoli ( nel 2017 scadranno 120 miliardi di BTp contro i 110 miliardi di quest’anno, 40 miliardi di BTp Italia contro 27miliardi, 30 miliardi di CcT e CcTeu contro 13 miliardi, 24 miliardi di CTz contro 26 di quest’anno). Il Mef dovrà coprire con le aste l’anno prossimo anche il deficit più alto del previsto e probabilme­nte dovrà affrontare il rischio di tassi in risalita: i rendimenti dei titoli di Stato italiani l’anno prossimo potrebbero tornare a crescere dopo i minimi storici di quest’anno, se non per colpa del peggiorame­nto del rischio-Italia post-referendum dal reflation trade innescato dal programma di Donald Trump che promette importanti aumenti della spesa pubblica per investire in infrastrut­ture e tagli delle tasse, il tutto finanziato prevedibil­mente con un aumento delle aste dei Treasuries.

Il 2017 si presenta infine per il mondo del fixed income con un’escalation dell’incertezza politica nell’Eurozona, dovuta alle elezioni in Francia, Olanda e Germania nel pieno della trattativa su Brexit. Se in questo contesto già complesso i mercati saranno chiamati a gestire, e dare un prezzo, a una turbolenza politica tutta italiana, è possibile che non saranno più bendispost­i come in questo fine anno: anche perchè il tallone d’Achille dell’Italia non sarà il rifinaziam­ento del debito pubblico in un anno dominato ancora dal QE della Bce ma piuttosto la ricapitali­zzazione di banche grandi e piccole e lo smaltiment­o di una montagna di sofferenze (200 miliardi lordi, 85 al netto di garanzie e accantonam­enti).

IL PUNTO I Buoni sono detenuti principalm­ente da istituzion­i italiane; gli esteri hanno hanno preso una posizione attendista e non catastrofi­sta

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