La Banca centrale pronta alla proroga degli acquisti
Non solo il caso-Italia: resta il nodo della mini-inflazione
pInflazione e moral hazard. A parte il caso, considerato comunque poco probabile, di una reazione scomposta e duratura dei mercati all’esito del referendum italiano, sono questi i due fuochi attorno cui ruoterà la riunione di giovedì della Banca centrale europea. L’Italia, in ogni caso, sarà al centro delle attenzioni dei banchieri centrali.
In realtà non dovrebbero esserci sorprese. Le previsioni degli analisti puntano tutte su una prosecuzione del quantitative easing (qe) oltre marzo, per almeno sei o nove mesi modificando alcuni criteri e vincoli. L’incertezza riguarda piuttosto l’ammontare degli acquisti: si confermeranno gli 80 miliardi al mese, o si tornerà ai 60 miliardi? Un’intervista del presidente Mario Draghi a El País ha lasciato aperta anche questa possibilità (che secondo Erik Nielsen di Unicredit, per esempio, suonerebbe alle orecchie degli investitori come un tapering, l’inizio di una graduale riduzione della politica ultraespansiva, e quindi “male”). In ogni caso, la Bce continuerà «mantenere il livello davvero notevole» di stimolo monetario.
È l’andamento dell’inflazione l’argomento più forte per la Bce. L’indice dei prezzi di Eurolandia è rapidamente accelerato dal - 0,2% annuo di aprile al +0,6% di novembre. Non è però una vera reflazione, non riguarda in modo generalizzato il complesso dei prezzi. È il segno della fine delle rapide flessioni del costo dell’energia, ma la core inflation - che esclude le voci più volatili e meno controllabili attraverso la politica monetaria - resta ferma allo 0,8% annuo e i prezzi dei beni industriali continuano a crescere del solo 0,3% annuo. È vero però che i prezzi alla produzione interni, anche escludendo l’energia, sembrano aver terminato la lunga flessione e sono ora stabili: qualche pressione, su questo fronte, potrebbe ora cominciare a manifestarsi. È troppo presto però perché una banca centrale come la Bce possa pensare di aver indirizzato i prezzi su un percorso che porti l’inflazione verso l’obiettivo del 2% (“al di sotto, ma vicino”, secondo la formulazione precisa).
Molte cose sfuggono infatti alla politica monetaria. Continuano per esempio a calare in Eurolandia i prezzi alla produzione non domestici e questo fenomeno segnala quanto l’attuale fase di bassa inflazione sia anche legata ai prezzi sui mercati internazionali e quindi, probabilmente, a un eccesso globale di offerta, che la Banca centrale europea non può certo risolvere. Così come non sembra che il quantitative easing abbia “fatto la differenza” sul fronte della crescita economica, per quanto le cose siano leggermente migliorate (anche se il ritmo dei prestiti bancari sembra rallentare un po’). Il presidente Mario Draghi, del resto, ha sempre insistito sul fatto che per spingere l’economia occorra anche una corretta politica fiscale, rispettosa del Patto di stabilità, ma allo stesso tempo orientato alla crescita.
È proprio la consapevolezza dei limiti della politica moneta- ria che lascia spazio al secondo tema, quello del moral hazard, l’opportunismo dei Governi. Non è un argomento urgente, ma è destinato a prendere piede. Soprattutto in relazione all’andamento dei nostri pubblici italiani, non totalmente in linea con la filosofia di Eurolandia, e le nostre riforme strutturali. È uno degli argomenti forti sollevati dai tedeschi, e soprattutto da Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, che potrebbero prima o poi aggregare il consenso di altri componenti del board. È un fatto che il confine tra politica monetaria e politica fiscale - sempre artificiale - diventi sempre più vago durante un quantitative easing: le banche centrali acquistano, tra l’altro, titoli di Stato abbassando i rendimenti e quindi il costo del nuovo debito. In questo senso il qe riduce gli incentivi a rimettere ordine nei conti pubblici e a fare le riforme, soprattutto nei paesi - come l’Italia, ma anche la Francia - più “dipendenti” dalla finanza statale. «L’impulso alle riforme che si poteva ancora osservare all’apice della crisi ha subito un ridimensionamento. A dimostrarlo sono i numeri dell’Ocse, che misura l'implementazione di riforme nei singoli Paesi. Anche il sostegno dei bassi tassi di interesse spesso non è stato utilizzato per risanare più rapidamente i bilanci, ma piuttosto per espandere la spesa pubblica», ha spiegato Weidmann in un’intervista ad Handelsblatt nella quale, in risposta a una domanda in cui si faceva riferimento all’alto debito italiano, ha precisato che la politica fiscale «non deve orientarsi ad garantire la solvibilità fiscale».
È difficile che questi argomenti facciano breccia adesso. Soprattutto tenendo conto delle difficoltà che attraversa parte del settore bancario italiano. Giovedì però se ne parlerà, alla Bce: l’Italia resta un sorvegliato speciale, non solo a Bruxelles ma anche a Francoforte.