«Sasha», la destra sconfitta due volte
Un europeista convinto
pA lexander Van der Bellen, indipendente presentatosi come un rappresentante dei Verdi - spesso visti come alternativi al sistema - ha “salvato” l’establishment austriaco dall’attacco populista di Norbert Hofer. Le sue prime parole all’Hofburg, la residenza presidenziale, sono state di sperare che tutti lo riconoscano come il «nostro presidente».
Ma non tutti a Vienna sono d’accordo: «Con Van der Bellen ha vinto la marionetta del sindaco socialdemocratico di Vienna, Michael Haupl», accusa Monica tra le lacrime che le liquefano il trucco, una fedelissima di Hofer nella sede parlamentare del partito a Vienna dove i sostenitori del Fpö, i liberal-nazionali, avevano facce cupe e tirate segno di una delusione profonda e inattesa.
Ancora una volta l’artefice di questa clamorosa rimonta elettorale austriaca è l ui, Alexander Van der Bellen, 72 anni e ancora sulla breccia a difendere la sua visione dell’Austria cosmopolita e libertaria. Un uomo che, secondo le sue parole si è sempre dimostrato «assolutamente convinto di vincere perché ha fiducia nel suo Paese». La stessa cosa che ha ripetuto, ringraziando i suoi collaboratori, per la seconda volta in un anno, alla festa che era stata preparata al suo quartier generale della campagna elettorale. Il nuovo presidente austriaco, Alexander Van der Bellen, è un ex militante socialista deluso e un europeista convinto.
Il 72enne ex docente universitario, è molto apprezzato per la schiettezza che lo ha contraddistinto fin dal debutto in politica, quando nel 2006 guidò i Verdi a raddoppiare i consensi al 10% facendoli diventare il terzo partito del piccolo Paese alpino. Figlio di un padre russo e di una madre estone, è stato preside della facoltà di Scienze economiche dell’Università di Vienna. Van der Bellen ha criticato la linea dura sui migranti del go- verno di coalizione socialdemocratico e popolare e ha già fatto sapere che non firmerà il trattato transatlantico sul libero commercio, il Ttip, anche se ormai anche la nuova amministrazione del presidente americano eletto Donald Trump l’abbia già mandata in archivio.
Padre di due figli e da poco risposato, le sue passioni sono le auto, le sigarette e i fumetti. «Una volta ho smesso di fumare per quattro mesi – ha detto in una intervista - ma poi mi sono chiesto chi me lo facesse fare alla mia età?». Alexander Van der Bellen, (Sasha per gli amici, in ricordo alle sue origine russe), ha puntato su soluzioni condivise con gli altri partner europei sul tema dei migranti evitando di parlare di chiudere il valico del Brennero, proposta invece sostenuta con forza dal partito di Hofer.
Tutta la sua campagna è stata volta a conquistare i voti del centro e dei cattolici, nel tentativo di rassicurare gli strati moderati di non essere un «estremista» ma un ecologista convinto del multiculturalismo. Van der Bellen ha vissuto la questione della lunga campagna elettorale presidenziale anche dal punto di vista biografico. La questione migratoria, al centro di questa campagna in un Paese di 8,6 milioni di abitanti, che conta uno fra i più alti tassi di richiedenti asilo in Europa, ha visto i due candidati su posizioni opposte, l’uno in difesa del multiculturalismo, l’altro arroccato in difesa dei valori identitari.
Van der Bellen ha sempre rivendicato le sue origini di « figlio di rifugiati » , con antenati russi ed estoni fuggiti dalla Rivoluzione bolscevica e in seguito dallo stalinismo, e poi cresciuto in Tirolo. Investito di un ruolo prevalentemente protocollare, il presidente austriaco è eletto a suffragio diretto per un mandato di sei anni, rinnovabile per un solo mandato. Ma oltre a essere il capo delle forze armate, il capo di Stato nomina il cancelliere e può sciogliere il Parlamento. Se fosse stato eletto, Hofer avrebbe trasformato la presidenza in un centro alternativo di potere rispetto alla cancelleria guidata dalla coalizione tra socialdemocratici e popolari, in vista di elezioni anticipate. L’Austria (e l’Europa) per ora tirano un sospiro di sollievo.
«FIGLIO DI RIFUGIATI» Il neopresidente è un sostenitore del multiculturalismo e ha criticato la linea dura del governo sui migranti