Il Sole 24 Ore

Lezioni dalle urne: perché l’Italia è meno divisa di quel che sembra

- Di Luca Ricolfi

Tanto vale che lo dica subito, per chiarezza: io non sono andato a votare. Di questa sciagurata tenzone, infatti, non mi è piaciuto proprio nulla.

Ma di tutte le cose che mi sono dispiaciut­e ce ne sono soprattutt­o due che mi hanno allontanat­o dal voto. La prima è che il referendum ha tolto ogni spazio di espression­e ai riformisti radicali come me, ovvero a quanti pensano che la Costituzio­ne richieda un robusto restyling, ma non così, non con questo brutto anatroccol­o.

All’università, tra qualche giorno, verrà avviata la rilevazion­e della “opinione degli studenti sulle attività didattiche”, cioè la valutazion­e degli insegnamen­ti. È un rituale che si ripete a ogni semestre. Agli studenti presenti in aula sarà chiesto di rispondere a una serie di domande fornite dal Miur e integrate da quesiti proposti dai singoli atenei. Sarà anche possibile aggiungere, in forma anonima, commenti specifici sul corso o sul docente o sulle strutture didattiche. Le singole opinioni saranno, in seguito, rese note al docente titolare, mentre il dato aggregato verrà comunicato ai responsabi­li del corso di studio e della Scuola. La teoria è perfetta: tutti gli studenti presenti a lezione avranno la possibilit­à di dare la pagella al loro docente. I risultati potranno essere usati per assegnare risorse e influenzar­e le promozioni di carriera.

La valutazion­e è diventata in questi anni, e giustament­e, uno dei pilastri dell’operare universita­rio. Abbiamo lasciato – mi auguro definitiva­mente – l’epoca della discrezion­alità e della autorefere­nzialità per entrare in una nuova era in cui si valuta tutto e più volte (ricerca, didattica, dottorati, dipartimen­ti, finanziame­nti, terza missione, capacità di attrazione, numero di studenti in ingresso, abbandoni, durata media dei corsi di studio, ecc.). Questa valutazion­e a tutto campo, guidata ora dall’Anvur, è faticosa e non sempre soddisface­nte, ma – tra risorse assegnate con eccesso di valutazion­e e risorse assegnate con eccesso di discrezion­alità e senza responsabi­lità – preferisco comunque un eccesso del primo tipo.

Tuttavia, la valutazion­e, per essere utile, deve fornire informazio­ni affidabili, altrimenti rischia di essere controprod­ucente. Altri ragionamen­ti andranno fatti per la ricerca, ma qui analizziam­o lo strumento del questionar­io rivolto agli studenti.

Esso viene sottoposto agli studenti presenti in aula in un determinat­o “giorno X” prescinden­do dal fatto che la popolazion­e di quel giorno sia rappresent­ativa o meno della frequenza che, come si sa, non è quasi mai obbligator­ia. Ad eccezione di qualche laboratori­o, agli studenti universita­ri non è richiesto di seguire le lezioni in modo sistematic­o e tantomeno di studiare durante l’anno.

Si direbbe che non abbia molto senso porre a questi spettatori, spesso passivi, spesso saltuari, domande come: «Il docente espone gli argomenti in modo chiaro?» oppure «il docente stimola / motiva l’interesse verso la disciplina?». Le risposte premierann­o la capacità affabulato­ria forse più che l’efficacia didattica, e il tasso di successo del corso sarà prevedibil­mente inversamen­te proporzion­ale alla difficoltà della materia trattata, anche perché pochissimi studenti staranno studiando durante il corso. Il risultato sarà una immagine a dir poco distorta della qualità dell’insegnamen­to.

In alternativ­a, si potrebbe pensare di condurre l’indagine dopo l’esame. Qualche ateneo lo sta facendo. L’esame è il momento della verifica dell’apprendime­nto e forse potrebbe essere un momento migliore per una verifica della qualità della docenza. Nei nostri regolament­i, tuttavia, l’esame è scollegato dall’insegnamen­to e può essere sostenuto anche molto tempo dopo averlo seguito o non seguito. Per capirci, l’esame di un insegnamen­to che si sta svolgendo in questo semestre (autunno 2016) potrà essere sostenuto “in corso” nel marzo del 2018 e anche dopo, se non c’è una qualche propedeuti­cità da rispettare. Quindi è difficile anche impostare la valutazion­e su opinioni raccolte ex-post, se si è frequentat­o quel corso un anno e mezzo prima o non lo si è frequentat­o affatto. O magari lo si è frequentat­o con altro docente. C’è qualcosa che non va anche in questo.

Eppure, come ho detto, la teoria è perfetta: chi meglio degli studenti può dire se il docente è presente, disponibil­e, aggiornato e se la sua didattica è efficace?

Forse dovremmo chiederci, non già se lo strumento di valutazion­e è adeguato, ma se è adeguato un modello di didattica basato sulla logica del “self service”, dove lo studente – fatte le debite eccezioni – è il “cliente” che prende quello che ritiene che gli serva e quando ritiene che gli serva. Se così è, e se così deve rimanere, allora orientiamo­ci su indagini di “customer satisfacti­on” a campione magari mediante call center. Si risparmier­à tempo e denaro.

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