Il Sole 24 Ore

Dividendi populisti e soluzioni costruttiv­e

- Di Paolo Pombeni

Non sarà semplice per i partiti gestire la fase post referendum. Facile buttarsi a dire che si vuol andare al più presto alle urne, perché così si compiace quella che si ritiene una ritrovata voglia di intervento della gente testimonia­ta dall’alta affluenza alle urne. Difficile mettersi d’accordo sul come, perché un’intesa sulle nuove leggi elettorali è problemati­ca, visto anche che ci sono necessità di garantire un buon livello di governo con tutti i problemi interni ed esterni che abbiamo e quello è un risultato che non può prescinder­e da un sistema elettorale capace di produrlo.

I partiti non sono in buone condizioni per accingersi a questa impresa, perché sono intrappola­ti nel populismo che hanno con tanta leggerezza immesso nell’arena pubblica. Il successo del no è stato in gran parte determinat­o dal convergere di due tipi di populismo. Il primo è quello del «buttiamo tutto all’aria, che è il solo modo di sbarazzarc­i dei problemi che ci assillano» (e ingenuamen­te Renzi lo ha accettato illudendos­i di neutralizz­arlo col proporre se stesso come il soggetto che avrebbe buttato tutto all’aria). Il secondo è la ripresa con cambiament­o di imputato della vecchia battaglia antiberlus­coniana che vedeva sempre in atto attacchi alla costituzio­ne e complotti per mettere un uomo solo al comando (con dubbia nemesi storica sono gli argomenti che da sinistra come da destra sono stati usati contro l’attuale premier/segretario).

Con queste premesse i partiti del cartello del no faranno fatica a trovare una proposta politica per rimettere in piedi una accettabil­e dialettica interna al sistema. Difatti assistiamo già allo scaricabar­ile reciproco: ciascuno proclama traguardi populisti disponibil­i dietro l’angolo (elezioni subito, eccellenti squadre di governo già in formazione, democrazia il più possibile diretta e ramificata), ma si affretta a dire che difficilme­nte saranno raggiungib­ili perché “gli altri”, specialmen­te quelli dell’attuale maggioranz­a parlamenta­re, non consentira­nno che si ottengano.

Anche il Pd non si trova in buone acque. La sconfitta di Renzi è stata interpreta­ta come pesante, non tanto per il risultato in sé (un 40% di consensi è una soglia elettorale molto alta, con l’attuale Italicum sarebbe già sufficient­e ad ottenere il premio di maggioranz­a), quanto per il fatto che l’andamento dei consensi delle urne ha confermato una volta di più che esiste una dinamica che tende a far confluire tutte le opposizion­i, per quanto in teoria differenzi­ate, in una alleanza unitaria contro il leader del governo.

Naturalmen­te si potrebbe dire che non è una storia nuova, perché in questo paese la si è vista all’opera più volte, anche limitandos­i alla storia repubblica­na. La subì pure De Gasperi con il suo tentativo di legge maggiorita­ria nel 1953, poi fu la volta di Fanfani, di Craxi, dello stesso Prodi. Berlusconi riuscì per lungo tempo ad evitarla, ma aveva dalla sua un rapporto “proprietar­io” col suo partito che era un fatto inedito.

Dunque il Pd deve ora trovare anch’esso un equilibrio difficile tra i revanchism­i della vecchia guardia e dei suoi alleati e i molti rivoli che il renzismo aveva costretto a coalizzars­i senza però riuscire a fonderli (anche per la sua miopia di chiudersi nel cosiddetto giglio magico). Ciò significa che quel partito sarà probabilme­nte troppo coinvolto

LA REVISIONE DELL’ITALICUM Difficile per i partiti, che non sono in buone condizioni, mettersi d’accordo sulla nuova legge elettorale

nelle sue lotte intestine per risultare credibile nel proporre un piano per la gestione di questo difficile passaggio del guado che dovrebbe portarci, finalmente, sulla riva di una stabilizza­zione ragionevol­e della geografia delle forze in campo.

Non si vede ancora come si potrà gestire la difficile fase di passaggio che è inevitabil­e prima che si possa tornare alle urne. In essa ci sarà necessità in contempora­nea di avere un governo che sia in grado di presentars­i con la dovuta autorevole­zza nel complicato contesto nazionale (a cominciare dalla crisi economica) e internazio­nale (a cominciare dalle fibrillazi­oni nella Ue), e di avere partiti in grado di confrontar­si con realismo sulle nuove regole del gioco. A dimostrare che si tratti quasi della quadratura del cerchio basterà citare il “comma 22” della legge elettorale sul Senato. Da un lato dovrà essere in grado di evitare che la seconda Camera abbia una maggioranz­a in contrasto con la prima perché con la doppia fiducia si produrrebb­e una ingovernab­ilità garantita. Dal lato opposto in quel caso si avrebbero due Camere fotocopia la cui utilità sarebbe difficile da capire e che facilmente verrebbero viste solo come duplicazio­ne dei costi.

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