Cantone: basta veleni, la Pa digerisca le riforme
Presidente Anac
Raffaele Cantone lancia l’allarme: troppi veleni sull’Anac, sulla sua attività di regolazione e di prevenzione della corruzione. «La sfida ora - dice - è che la prassi digerisca le nuove norme».
«Sono state varate riforme legislative fondamentali per prevenire la corruzione e aumentare il grado di trasparenza della pubblica amministrazione, come il nuovo codice degli appalti o il Foia (Freedom of Information Act) che entrerà in vigore il 23 dicembre. Ma la questione decisiva, a questo punto, non è tanto fare nuove regole, quanto far digerire quelle che esistono nella prassi. La sensazione è, invece, che la prassi amministrativa stia facendo di tutto per non digerire queste norme e che da più parti si stiano inventando o esagerando problemi e disservizi, attribuendoli spesso i mpropriamente alla responsabilità dell’Anac, con l’obiettivo di rigettare queste regole». Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, lancia l’allarme sulle difficoltà di tradurre le norme di legge in comportamenti virtuosi, sulle resistenze che arrivano da più parti e sui rischi che corre l’impianto della prevenzione anticorruzione imperniato sull’Anac. «Si rischia di far morire il bambino in culla», dice «con preoccupazione», condannando «lo spargimento di veleni che arriva da molte parti, praticamente a ogni convegno» e una certa inerzia amministrativa che frena l’applicazione delle riforme. Osserva una «fuga dalle responsabilità» di molte amministrazioni che «tempestano i nostri uffici di quesiti su questioni spesso irrilevanti, evitando di decidere in attesa di una nostra risposta e dimenticando che il ruolo di regolazione e di orientamento attribuito all’Anac non solleva le pubbliche amministrazione dall’esercizio delle loro competenze e delle loro responsabilità».
Mi pare lei dica che il momento sia decisivo per portare a regime la prevenzione anticorruzione, ma che al tempo stesso sia anche un momento molto delicato, con un rischio di arretramento molto forte.
Il momento è centrale per andare avanti e noi stiamo lavorando a pieno regime, per esempio, per dare attuazione al codice degli appalti. Facciamo le linee guida, ascoltiamo gli operatori, cerchiamo di risolvere questioni che si presentano di volta in volta. Stiamo anche partendo con una riorganizzazione degli uffici resa possibile anche dalle risorse sbloccate dal decreto fiscale. Ma poi ci sentiamo dire, con un atteggiamento strumentale, che non abbiamo fatto cose che non spettava a noi fare o peggio che il tale appalto non è stato aggiudicato perché mancava una decisione dell’Anac. In questo modo il rischio è di far fallire quella che è la novità più importante del codice degli appalti, l’introduzione di un ruolo di regolazione.
Non è che la politica vi ha usato come parafulmine?
Non ritengo ci sia stata malafede della politica, quanto la tentazione del legislatore di prendere scorciatoie per recuperare un ritardo e raggiungere al più presto livelli caratteristici del mondo occidentale. Bisogna dare atto che, sul piano dell’impianto legislativo, oggi noi siamo più avanti di molti altri Paesi. Da parte mia ho anche messo le mani avanti quando mi sembrava che ci si volessero attribuire poteri che fossero al di fuori delle nostre competenze. Resta il fatto che se tu individui o fai passare l’idea che ci sia un deus ex machina, quando poi la machina non funziona, molti - chi in buona fede,chi in mala fede - hanno la tentazione di scaricare tutte le responsabilità sul deus. Ecco perché penso sia necessario distinguere le funzioni di regolazione e di orientamento, che attengono all’Anac, da quelle relative alle scelte discrezionali che attengono esclusivamente alle amministrazioni. Nessuno può usare l’alibi
LA SFIDA «Necessario distinguere le funzioni di regolazione e orientamento, che attengono all’Anac, dalle scelte discrezionali che attengono esclusivamente alle amministrazioni»
di un parere Anac non emesso, tanto più se su una questione banale, per non fare le scelte che gli competono.
C’è un problema di preparazione della burocrazia pubblica o di organizzazione della Pa?
Tutte e due le cose. Certamente il legislatore deve accompagnare maggiormente le sue riforme, creando un salto culturale in una burocrazia che deve sapere cosa fare per arrivare agli obiettivi che il legislatore gli pone. Oggi invece troppo spesso si ha l’impressione che la burocrazia non sappia neanche di cosa parla e si limiti a rimbalzare all’Anac una tempesta di quesiti senza senso. Se vediamo bandi di gara che richiamano decreti del 1999 che ancora fanno capo alla legge Merloni, ignorando che dopo la Merloni c’è stato il codice del 2006 e ora quello nuovo, siamo messi davvero molto male.
Non è che c’è una resistenza che ha per finalità la non applicazione delle regole?
Questa resistenza la avverto soprattutto nella politica locale che più di altri prova a scaricare sull’Anac la propria incapacità di decidere e di assumere responsabilità in linea con gli obiettivi che la legge pone. Qualche giorno fa una nota di una Asl della Lombardia diceva che i base a una direttiva dell’Anac era costretta a pubblicare non solo i redditi dei dirigenti ma anche quelli dei congiunti. Ma non è una scelta dell’Anac, è scritto chiaramente nella legge che istituisce il Foia.
Poi, diceva, c’è anche un problema di organizzazione della Pa.
Questo è un aspetto centrale perché organizzare vuol dire anche cambiare idee e prassi, adeguarsi a nuovi obiettivi. Ma questo è difficile se poi sopra a tutto c’è il blocco del turn over.
C’è una via di uscita per rilanciare e guardare avanti?
La sfida di oggi è provare a consolidare quello che abbiamo fatto. Il vero problema è un tasso di accompagnamento delle riforme per renderle attuabili. Serve un’azione che aiuti le amministrazioni ad applicare le norme. Altrimenti ci limitiamo a fare grida manzoniane e produciamo un’applicazione che funziona qua e una che non funziona là. La corruzione cresce e prospera proprio dove c’è un’applicazione così disomogenea delle regole.