Pignatone: i pericoli delle reti di relazioni
Procuratore della Repubblica, Roma
L’intreccio di «reti di relazioni» aumenta la pericolosità di mafia e corruzione. Sistema repressivo lacunoso, processo inefficiente. Parla il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone.
Signor Procuratore, gli anniversari sono l’occasione per fare bilanci. Può tentarne uno sull’efficacia della repressione penale della corruzione, che secondo l’Onu ha conseguenze catastrofiche per le democrazie e lo sviluppo economico, sottraendo il 5% del Pil mondiale?
Non ho elementi per fare valutazioni così ampie. Sulla base dell’esperienza del mio Ufficio, noi crediamo che la corruzione, intendendo con questo termine più in generale i reati contro la pubblica amministrazione, l’economia e le frodi fiscali, sia un fenomeno ampiamente diffuso, che provoca gravi distorsioni sulla libera concorrenza, penalizza il sistema economico e crea effetti gravemente dannosi sui costi, sui servizi e sull’esecuzione delle opere pubbliche. «Il cemento sembrava colla» dice un indagato in una recentissima indagine romana.
L’intreccio mafia-corruzione è un dato acquisito e riscontrabile in tutto il Paese. Secondo lei, la prima trova nella seconda terreno fertile per attecchire ed espandersi o la corruzione è diventata lo strumento delle nuove mafie?
Va detto anzitutto che mafia e corruzione sono due fenomeni diversi e che non sempre dove c’è l’una c’è anche l’altra. È vero invece che le organizzazioni mafiose hanno sempre fatto ricorso, già nell’800, anche alla corruzione e che questo avviene sempre di più per evitare la reazione dello Stato di fronte agli atti di violenza più eclatanti e per sfruttare la capacità di condizionamento che hanno oggi i metodi corruttivi/collusivi. Inoltre le indagini dimostrano che lo sviluppo delle mafie è favorito, anche fuori dalle regioni di origine, dall’esistenza di fenomeni corruttivi diffusi.
Quanto contano le reti relazionali, gli uominicerniera in ogni categoria professionale e il complessivo deterioramento del contesto imprenditoriale, oltre che sociale?
Moltissimo. Queste reti sono la vera forza delle mafie, quello che le distingue dalla “normale” criminalità. Inoltre, oggi la corruzione diventa sistemica, non si limita più a uno scambio bilaterale (denaro contro provvedimento), ma si allarga a molti altri soggetti (consulenti, addetti ai controlli, chi emette fatture false per giustificare i pagamenti, riciclatori). Il rischio che queste reti si incontrino e si intreccino è sempre più alto e fa crescere in misura esponenziale la pericolosità di entrambi i fenomeni.
Contro la mafia esiste un sistema repressivo e sanzionatorio efficace. Si può dire altrettanto per la corruzione e i reati contro l’economia?
Temo di no, anche se ci sono stati dei fatti positivi negli ultimi anni come l’introduzione dei reati di autoriciclaggio e di falso in bilancio e l’aumento delle pene per il delitto di corruzione. Però questo tipo di reati, per la loro complessità, perché si scoprono a distanza di tempo e per altre ragioni ancora, sono forse quelli per cui più risaltano le lacune del nostro sistema repressivo, e i processi, anche quando le indagini hanno esito positivo, spesso finiscono con la prescrizione o con sentenze emesse dopo troppo tempo per non essere percepite come inutili, se non addirittura ingiuste. E poi, nonostante la corruzione sia «furto di democrazia» come giustamente l’ha definita il Presidente Mattarella, a me sembra che non vi sia un’adeguata consapevolezza della gravità del problema, che la corruzione sia da molti considerata un elemento fisiologico del sistema. Certo non è senza significato che il numero di condannati e di detenuti per fatti di corruzione in Germania o nei Paesi nordici sia di molte volte superiore a quello italiano. E, ancora, spesso constatiamo che non c’è alcuna forma di riprovazione o di condanna sociale per i responsabili di questi reati.
Le sembra normale che l’etica pubblica sia di
LA QUESTIONE DEI TEMPI «Non è possibile che decine di migliaia di procedimenti per fatti anche gravi siano destinati alla prescrizione, ma non è accettabile neanche che una sentenza arrivi a 20 anni dai fatti»
fatto demandata alle Procure della Repubblica? Che la politica faccia dipendere dagli sviluppi di un’inchiesta scelte di natura etica o politica?
Al di là dei casi singoli, su cui non esprimo alcun giudizio, sono sempre stato convinto che politica e magistratura, oltre a essere del tutto indipendenti l’una dall’altra, hanno parametri di giudizio diversi. La politica deve giudicare i fatti, anche quelli che emergono dalle indagini, secondo i suoi criteri, del tutto diversi da quelli del processo penale. Senza dire poi dell’enorme differenza tra un avviso di garanzia, previsto appunto a garanzia dell’indagato, una misura cautelare emessa da un giudice e confermata dalla Cassazione, e una sentenza irrevocabile.
Finalmente anche in Italia si sta implementando il fronte della prevenzione e cresce la consapevolezza di una svolta culturale. Il che, però, può attenuare l’attenzione politica sul fronte della repressione. C’è questo rischio?
Sono convinto di no. Tanto più cresce l’attività di prevenzione e la consapevolezza dei danni provocati dalla corruzione, tanto meglio si potrà svolgere l’attività repressiva, su un numero auspicabilmente minore di fatti illeciti e in un contesto sociale più convinto della gravità di questi reati. Inoltre, la collaborazione in atto tra l’Anac e molte Procure, tra cui Roma, sta consentendo a tutti noi, io credo, di affinare le nostre conoscenze e i nostri, diversi, schemi di valutazione.
Infine una domanda d’obbligo: tutti gli organismi internazionali da anni chiedono all’Italia di riformare la prescrizione per rendere più efficace la repressione penale della corruzione. La crisi di governo rischia seriamente di far saltare la riforma del processo penale e, con essa, quella sulla prescrizione. Lei è preoccupato?
Il problema non riguarda più tanto il reato di corruzione in senso stretto dopo l’aumento dei limiti di pena decisi di recente. Spero che il Parlamento trovi un punto di equilibrio tra le diverse esigenze. Secondo me, non è possibile che decine di migliaia di procedimenti per fatti anche gravi siano inesorabilmente destinati alla prescrizione ma non è accettabile neanche che una sentenza arrivi a distanza di più di venti anni dai fatti. Il vero problema è l’inefficienza, per troppi aspetti, del nostro sistema processuale, povero di risorse, con un numero sempre crescente di reati anche per fatti che non meriterebbero la sanzione penale e, infine, forse unico in Europa a prevedere tre gradi di giudizio.