Il Sole 24 Ore

I benefici per le banche sane se lo Stato fa scudo a quelle in crisi

Opportunit­à per il sistema ma rischi per i detentori dei bond

- Di Alessandro Graziani

Nel frattempo sono entrate in vigore le nuove regole europee sui salvataggi bancari, lo stock dei crediti in sofferenza delle banche italiane è aumentato e i tentativi di sistema di arginare le situazioni di crisi sono serviti solo a tamponare le emergenze.

Ma non a risolvere i problemi delle sette o otto banche che erano e restano in crisi.

Nell’ultimo anno la maggioranz­a delle banche sane ha contribuit­o in vari modi ai salvataggi tuttora incompiuti: dall’anticipo dei costi futuri del fondo di risoluzion­e alla costituzio­ne del fondo volontario, fino all’intervento nel fondo Atlante. Forse è arrivato il momento che un investitor­e paziente come lo Stato (come hanno fatto anni fa gli Stati Uniti, con un esito che poi si è dimostrato positivo sia per le banche che per i contribuen­ti americani), si faccia carico della ricapitali­zzazione delle banche in crisi e liberi responsabi­lmente da questo compito, evitando un possibile futuro effetto contagio, la maggioranz­a delle banche italiane sane. Da Intesa a UniCredit, dalle grandi popolari del centro nord alle casse e banche private fino ad arrivare alle Bcc, c’è un sistema del credito che è solido o che è in grado di risolvere i propri problemi con un accesso diretto al mercato.

A questi istituti, che hanno già destinato alcuni miliardi per i vari salvataggi degli ultimi anni, non si può chiedere ancora di contribuir­e alla tutela delle banche in crisi. Molto meglio, anche per il rispetto dovuto ai loro azionisti italiani ed internazio­nali, che le banche sane dedichino interament­e le proprie forze al finanziame­nto dell’economia. E che ai salvataggi dei pochi istituti pericolant­i, tutelando il risparmio come previsto dalla Costituzio­ne, ci pensi lo Stato. In questo senso si inserisce il decreto, pronto da giorni, che dovrebbe mettere a disposizio­ne un plafond di 15 miliardi di euro per dare una garanzia di ultima istanza agli aumenti di capitale delle banche che potrebbero avere difficoltà a trovare le risorse sul mercato.

Il caso principale resta l’evoluzione della crisi di Mps che, in attesa del pronunciam­ento «formale» di Bce sull’ipotesi di un rinvio al 20 gennaio dell’aumento di capitale, resta alle prese con l’alternativ­a (da sciogliers­i entro lunedì) tra proseguire con il complesso tentativo di piano privato promosso da JP Morgan oppure virare verso la garanzia pubblica da attuarsi, secondo le nuove regole europee, attraverso il meccanismo del «burden sharing».

Un meccanismo che, seppure attuato con le modalità più prudenti, comporterà comunque anche la conversion­e obbligator­ia dei bond subordinat­i in azioni (non l’azzerament­o, come accadde un anno fa per Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e Cariferrar­a) sia per gli investitor­i istituzion­ali che per i risparmiat­ori retail. Ai secondi, sulla base degli accordi definiti con la Commission­e europea, potranno essere concessi rimborsi nei casi di misselling (vendita fraudolent­a). Per i grandi fondi invece, nessuna forma di compensazi­one se non la prospettiv­a di una rivalutazi­one futura delle azioni Mps nei prossimi anni. In entrambi i casi, non mancherann­o le proteste. E bisognerà vedere in che modo il mercato dei bond bancari italiani reagirà all’operazione. Sia sulle banche che dovessero essere coinvolte dal burden sharing, sia su quelle «sane» che a quel punto verrebbero liberate dalla zavorra di sistema e potrebbero tornare a essere più appetibili sul mercato.

Il nodo del fondo Atlante e di Veneto Banca e Vicenza

L’altro caso più evidente a cui potrebbe essere dedicato l’intervento dello Stato riguarda Popolare Vicenza e Veneto Banca, le due banche controllat­e con oltre il 97% dal fondo Atlante (a sua volta capitalizz­ato dal sistema finanziari­o italiano). Per i due istituti che viaggiano verso la fusione, si profilano nuovi maxi-accantonam­enti sui crediti in sofferenza e un conseguent­e aumento di capitale stimato in due miliardi. L’intervento dello Stato diluirebbe Atlante, che già si prepara comunque a registrare una pesante minusvalen­za. In alternativ­a, l’intervento dello Stato in Mps potrebbe liberare Atlan- te dall’operazione Npl a Siena e dirottare le risorse pienamente al rilancio di Veneto Banca e Popolare Vicenza. Ipotesi certamente migliore per i due istituti che, in caso di burden sharing, dovrebbero penalizzar­e i propri sottoscrit­tori retail di bond subordinat­i, spesso coincident­i con gli ex soci azionari che hanno intentato maxi-cause risarcitor­ie ai due istituti.

Le quattro good banks e le casse pericolant­i

Il plafond che lo Stato sta valutando di riservare alle ricapitali­zzazioni delle banche in crisi potrebbe essere esteso alle quattro good banks emerse dal salvataggi­o dell’anno scorso. Dopo varie proroghe concesse dalla Ue, l’ultima scade a fine anno, la loro vendita resta assai difficile. Per Ubi Banca, che ha in corso un tentativo al vaglio della Vigilanza Bce, la loro acquisizio­ne potrebbe comportare un aumento di capitale da 500 milioni. In alternativ­a, è possibile che le quattro banche lancino un aumento di capitale e che, in assenza di investitor­i privati (si tratta di banche non quotate) sia lo Stato a farsi carico del rilancio. Così come per le Casse di Risparmio romagnole, da tempo a caccia di capitali dopo aver intaccato i ratios patrimonia­li minimi della vigilanza (e in attesa di bilanci di ulteriore pulizia dei crediti). Se intervento dello Stato ci sarà, poi saranno inevitabil­i fusioni e aggregazio­ni tra i vari istituti salvati, con inevitabil­i ristruttur­azioni, prima di tornare a essere appetibili per investitor­i privati.

L’OPPORTUNIT­À L’intervento dello Stato nelle banche in crisi eviterebbe nuovi esborsi per gli istituti sani nei fondi obbligator­i e volontari e in Atlante

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UMBERTO GRATI

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