Il Sole 24 Ore

Il caso Mps e il vento che soffia in poppa alle banche

- Maximilian Cellino

Il passo indietro con cui le banche italiane (e quelle europee) hanno accolto in Borsa l’ennesimo colpo di scena sulla vicenda Monte dei Paschi appare tutto sommato contenuto. A maggior ragione quando si pensa che nella temutissim­a settimana post referendum i titoli del credito hanno in media recuperato, nonostante la seduta di ieri, il 9,5% a livello europeo e il 12,7% a Piazza Affari. Si potrebbe pensare che in fondo il mercato si aspettasse la decisione dura, ma sotto diversi aspetti inevitabil­e presa dalla Bce, oppure, nella peggiore delle ipotesi, che il caso della banca senese non sia destinato a provocare conseguenz­e a catena nel nostro Paese e ancora meno a livello continenta­le.

C’è però da considerar­e un ulteriore aspetto della vicenda, che astrae del tutto dai guai di Mps e dall’annosa questione delle sofferenze che gravano sui bilanci delle banche italiane. È l’inerzia del mercato che spinge in queste ultime settimane il settore finanziari­o, nel mondo, in Europa e perfino nel nostro Paese: un’inerzia conseguent­e al fatto che i tassi di interesse hanno ripreso a crescere, in particolar­e sulla parte a lunga della curva, cioè quella che interessa alle banche per raddrizzar­e i margini sofferenti da anni di politiche monetarie ultraespan­sive che hanno fatto precipitar­e a zero (e anche sotto) i rendimenti.

È insomma il fenomeno dell’irripidime­nto della curva dei tassi a giocare a favore delle banche, che tipicament­e si indebitano a breve termine per impiegare il denaro a scadenze più lunghe. Se infatti torna la differenza fra questi rendimenti (ieri lo scarto fra i tassi a 2 e 10 anni tedeschi ha raggiunto i 115 punti base, massimi da 29 mesi) gli istituti di credito possono di nuovo aumentare il margine di interesse.

Il fatto che le curve stiano diventando più ripide è in parte una conseguenz­a dello scenario macro in mutamento (la crescita che porterà la Fed a rialzare i tassi mercoledì prossimo e l’inflazione che costringer­à la Banca d’Inghilterr­a a un atteggiame­nto più aggressivo), in parte un obiettivo dichiarato delle banche centrali (la BoJ che tenta di controllar­e il livello del decennale giapponese), in parte ancora il risultato di mosse indirette di politica monetaria.

Due giorni fa, sotto questo aspetto, anche le molteplici decisioni prese dalla Bce hanno spinto verso questa direzione, soffiando in poppa alle banche: «Quello che a tutti gli effetti è un taglio dei tassi “nascosto” e una curva più ripida andranno a beneficio dei margini delle banche e a loro volta aiuteranno il meccanismo di trasmissio­ne della politica monetaria della Bce all’economia reale», nota Andrew Bosomworth di Pimco. La cosa non è certo sfuggita ai grandi investitor­i, anche al di là dell’Atlantico. Bloomberg ricordava come giovedì, al termine della conferenza stampa di Mario Draghi, l’Etf iShares Msci European Financials quotato a New York abbia registrato flussi in entrata record pari a 137 milioni di dollari aumentando d’un colpo il patrimonio del 35 per cento.

Lo scenario più favorevole su tassi e l’attenzione degli investitor­i non risolveran­no certo i problemi di Mps, né porranno fine alla questione dei crediti inesigibil­i che affligge il sistema del credito italiano, ma almeno le banche non saranno costrette a remare contro corrente come negli ultimi anni.

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