Il caso Mps e il vento che soffia in poppa alle banche
Il passo indietro con cui le banche italiane (e quelle europee) hanno accolto in Borsa l’ennesimo colpo di scena sulla vicenda Monte dei Paschi appare tutto sommato contenuto. A maggior ragione quando si pensa che nella temutissima settimana post referendum i titoli del credito hanno in media recuperato, nonostante la seduta di ieri, il 9,5% a livello europeo e il 12,7% a Piazza Affari. Si potrebbe pensare che in fondo il mercato si aspettasse la decisione dura, ma sotto diversi aspetti inevitabile presa dalla Bce, oppure, nella peggiore delle ipotesi, che il caso della banca senese non sia destinato a provocare conseguenze a catena nel nostro Paese e ancora meno a livello continentale.
C’è però da considerare un ulteriore aspetto della vicenda, che astrae del tutto dai guai di Mps e dall’annosa questione delle sofferenze che gravano sui bilanci delle banche italiane. È l’inerzia del mercato che spinge in queste ultime settimane il settore finanziario, nel mondo, in Europa e perfino nel nostro Paese: un’inerzia conseguente al fatto che i tassi di interesse hanno ripreso a crescere, in particolare sulla parte a lunga della curva, cioè quella che interessa alle banche per raddrizzare i margini sofferenti da anni di politiche monetarie ultraespansive che hanno fatto precipitare a zero (e anche sotto) i rendimenti.
È insomma il fenomeno dell’irripidimento della curva dei tassi a giocare a favore delle banche, che tipicamente si indebitano a breve termine per impiegare il denaro a scadenze più lunghe. Se infatti torna la differenza fra questi rendimenti (ieri lo scarto fra i tassi a 2 e 10 anni tedeschi ha raggiunto i 115 punti base, massimi da 29 mesi) gli istituti di credito possono di nuovo aumentare il margine di interesse.
Il fatto che le curve stiano diventando più ripide è in parte una conseguenza dello scenario macro in mutamento (la crescita che porterà la Fed a rialzare i tassi mercoledì prossimo e l’inflazione che costringerà la Banca d’Inghilterra a un atteggiamento più aggressivo), in parte un obiettivo dichiarato delle banche centrali (la BoJ che tenta di controllare il livello del decennale giapponese), in parte ancora il risultato di mosse indirette di politica monetaria.
Due giorni fa, sotto questo aspetto, anche le molteplici decisioni prese dalla Bce hanno spinto verso questa direzione, soffiando in poppa alle banche: «Quello che a tutti gli effetti è un taglio dei tassi “nascosto” e una curva più ripida andranno a beneficio dei margini delle banche e a loro volta aiuteranno il meccanismo di trasmissione della politica monetaria della Bce all’economia reale», nota Andrew Bosomworth di Pimco. La cosa non è certo sfuggita ai grandi investitori, anche al di là dell’Atlantico. Bloomberg ricordava come giovedì, al termine della conferenza stampa di Mario Draghi, l’Etf iShares Msci European Financials quotato a New York abbia registrato flussi in entrata record pari a 137 milioni di dollari aumentando d’un colpo il patrimonio del 35 per cento.
Lo scenario più favorevole su tassi e l’attenzione degli investitori non risolveranno certo i problemi di Mps, né porranno fine alla questione dei crediti inesigibili che affligge il sistema del credito italiano, ma almeno le banche non saranno costrette a remare contro corrente come negli ultimi anni.