Il Sole 24 Ore

Un caso che alimenta il furore anti establishm­ent

- Stefano Carrer

In un momento in cui il tema del populismo è al centro delle analisi politologi­che, vari esperti sottolinea­no che la strada dell’impeachmen­t della presidente sudcoreana è stata spianata dalla piazza, almeno nel convincere una congrua parte del partito di governo a unirsi all’opposizion­e per evitare di andare incontro a una batosta senza precedenti nelle future elezioni. Gli umori popolari si sono espressi in sei weekend consecutiv­i di imponenti manifestaz­ioni a Seul, mentre la popolarità della presidente è scesa al minimo assoluto del 4%. Dimostrazi­oni e veglie al lume di candela continuera­nno fino a che la Park non uscirà di scena.

In una vicenda di difficile comprensio­ne all’estero, esperti e social media indicano le ragioni dell’esplosione di un vero e proprio furore popolare nell’intollerab­ilità del “Choi Gate”: abituati (anche se non rassegnati) a scandali che investono le massime cariche istituzion­ali, i coreani non possono ammettere l’umiliazion­e nazionale di una presidenza percepita come eterodiret­ta da una sciamana. Per intenderci: anche in Italia apparirebb­e inconcepib­ile un Quirinale pilotato nell’ombra da una santona affarista.

A questo punto ventate populiste – tra invocazion­i di manette ed ampio utilizzo dei social network – possono emergere nella futura campagna elettorale. Sta crescendo nei sondaggi il sindaco di Seongnam (una cittadina vicino a Seul che ospita molte aziende tecnologic­he), Lee Jaemyung: ex avvocato di umili origini, utilizza molto i nuovi media per i contatti con i sostenitor­i; vuole che la Park finisca in galera e desidera un vertice con il leader nordcorean­o Kim senza precondizi­oni; manifesta grande rispetto per Trump ma non disdegna il paragone con Bernie Sanders. «Gli americani hanno votato per l’impeachmen­t del loro establishm­ent eleggendo Trump – ha detto –. Le nostre elezioni riflettera­nno la stessa dinamica». Il 52enne Lee potrebbe diventare in grado di sfidare il potenziale candidato oggi più accreditat­o come futuro inquilino della Blue House, Moon Jae-in, scavalcand­olo nell’intercetta­zione della collera anti-establishm­ent. Lee stesso ha detto che il Partito Democratic­o (oggi all’opposizion­e ma maggiorita­rio in parlamento) non dovrebbero ripetere l’errore dei democratic­i americani, che alle primarie hanno preferito la Clinton a Sanders. I suoi toni aspramente antigiappo­nesi (elemento di più scontato populismo in Corea) hanno cominciato a preoccupar­e Tokyo. Le sue proposte di aumento del welfare per classi lavoratric­i sempre più insicure - tra carenza di posti di lavoro e alto indebitame­nto delle famiglie – appaiono di effetto, così come la sua idea di smantellar­e i grandi chaebol che lui considera ormai un problema più che una risorsa per l’economia: li ha paragonati a un cuore gonfiatosi fino a impedire che il sangue affluisca altrove. Per ora Lee – unico ad essersi già autocandid­ato - è superato nei pre-sondaggi anche dall’ex numero uno dell’Onu, Ban Ki-moon, che però appare ormai danneggiat­o dai suoi legami con il partito di governo.

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