Usa, al Lavoro il ceo di una catena fast-food
titolo di un suo libro del 2010 è eloquente: «La creazione di posti di lavoro: come funziona e perché il governo non la capisce». La soluzione, il suo pensiero fisso, Andrew Pudzer li ha poi sbandierati, in convegni e commenti pubblicati sui giornali: il governo deve fare anzitutto una cosa, togliersi di mezzo.
Ora che è stato scelto da Donald Trump quale prossimo Segretario al Lavoro, il 66enne Pudzer avrà l’opportunità di mettere in pratica questa filosofia. Nell’interpretazione di Trump, per «rendere i lavoratori più prosperosi e sicuri ed eliminare il peso di schiaccianti regolamentazioni sulle piccole imprese che limitano occupazione e aumenti salariali». Nella versione dei critici - riassunta da Slate in un’espressione-simbolo delle tensioni che attraversano il Paese - più simile a un «gigantesco dito medio» levato verso i dipendenti meno protetti e retribuiti. Sindacati e associazioni dei diritti civili hanno anche apostrofato Trump come un “cyberbully” per aver aggredito su Twitter un dirigente locale delle union dell’azienda Carrier, Chuck Jones, che ha accusato Trump di mentire sul salvataggio di impieghi dalla delocalizzazione: dei mille posti rivendicati da Trump - è vero - oltre 300 non erano a rischio.
Pudzer, di sicuro, ha le carte in regola per diventare fin da subito esponente di punta del commando per la deregulation assemblato al governo da Trump, che si estende dalla sanità all’ambiente, dallo Sviluppo urbano all’Ufficio per le piccole imprese - affidato all’ex regina della lotta-spettacolo Lynda McMahon - e fino al Ministero dell’Interno dove è pronto il deputato Cathy McMorris Rodgers per capitanare aperture a trivellazioni e fracking.
Il prescelto per il Lavoro ha, altrettanto certamente, un’esperienza diretta degli americani più deboli sotto la sua giurisdizione: da anni guida catene di fast food e ristorazione, settore che impiega ben il 10% della forza lavoro ed è tra i pilastri dei guadagni occupazionali nei servizi meno qualificati finora dominanti in una ripresa diseguale. La Cke, società californiana di cui è amministratore delegato dal Duemila, controlla una collezione di società di ristoranti veloci poco rinomate e che hanno finora attirato l’attenzione per campagne pubblicitarie farcite di innuendo sessuali, con donne in lingerie accanto a svizzere di carne e patate fritte. Ma sono aziende con centinaia di locali, negli Stati Uniti e non solo, e centomila occupati. Nel suo ruolo è stato contrario ad aumenti del salario minimo oltre i 9 dollari l’ora dagli attuali 7,25 federali - chi sostiene i 15 dollari «dovrebbe pensarci due volte» - e a regole introdotte da Barack Obama per estendere compensi obbligatori per gli straordinari ai “finti manager”. Cioè a posizioni abusate proprio nel fast food per inquadrare i dipendenti con contratti da “dirigenti” a bassi stipendi e incentivimiraggio. Norme già sotto assalto e bloccate da un giudice federale in Texas.
Pudzer, tuttavia, almeno su un tema scottante ha un’opinione moderata che lo distingue da Trump e potrebbe agevolare la conferma congressuale anche da parte di ambienti progressisti. Sull’immigrazione ha sostenuto la necessità d’una riforma complessiva che mantenga l’immagine del Paese come terra di opportunità e offra la possibilità di cittadinanza ai clandestini. E ha criticato la deportazione di massa di 11 milioni di clandestini che già vivono negli Stati Uniti, proponendo di limitare le espulsioni a chi commette reati. L’executive aveva inoltre difeso un progetto bipartisan sugli immigrati bocciato dalle correnti più conservatrici. Ma a garantirgli la poltrona, più delle posizioni politiche, potrebbe aver contribuito un altro fattore caro a Trump: è stato un fedele della prima ora del presidente eletto, donatore e propagandista dei suoi meriti tra le fila di imprenditori e finanzieri repubblicani.