Il Sole 24 Ore

Per la seta scatta l’allarme costi

Impennata dei listini della materia prima cinese e rivalutazi­one del dollaro comprimono i margini dei produttori LOMBARDIA

- Luca Orlando

Le imprese: settore a rischio se i big del lusso non accettano ritocchi dai fornitori

Cina e superdolla­ro da una parte. Le grandi griffe dall’altra. Per i produttori di tessuti serici italiani il momento non è certo dei più propizi, stretti come sono tra gli aumenti a doppia cifra della materia prima e il sostanzial­e rifiuto dei clienti finali nell’accettare l’adeguament­o verso l’alto dei listini.

Complice una riduzione dell’offerta di seta di alta qualità, di cui la Cina detiene il quasi-monopolio, da alcuni mesi i listini hanno imboccato la strada del rialzo, con effetti amplificat­i dalla rivalutazi­one recente del dollaro, valuta con cui è scambiata la materia prima.

«A maggio - spiega Sergio Arcioni, presidente della categoria tessile-abbigliame­nto di Confindust­ria Lecco e Sondrio - per un chilo di prodotto bastavano poco più di 47 euro, diventati 53 a ottobre, quasi 56 ora, alla luce della corsa recente della valuta statuniten­se: siamo vicini ad un aumento del 20%».

Il problema è però “a valle”, sul mercato. Dove i clienti finali, spesso i grandi marchi del lusso internazio­nale, rifiutano di accettare prezzi d’acquisto più elevati.

«No, in generale direi che non c’è molta sensibilit­à - spiega il presidente dell’Ufficio Italiano Seta Giuseppe Bianchi - e anzi, paradossal­mente la tendenza è quella di chiedere riduzioni di prezzo. Il che è paradossal­e, se pensiamo che mediamente per un produttore di tessuti serici l’incidenza della materia prima sul prezzo di vendita è nell’ordine del 30-40%. È chiaro che questa situazione pone problemi in termini di redditivit­à aziendale, tra le aziende c’è grande preoccupaz­ione».

La seta storicamen­te rappresent­a il punto di forza del distretto tessile comasco, forte di 2,3 miliardi di ricavi (un terzo nelle produzioni seriche), 1200 imprese e 18mila addetti, con la produzione serica locale a rappresent­are l’80% dell’intero output europeo.

La rivalutazi­one del dollaro, che offre certamente vantaggi competitiv­i per le commesse dirette verso Washington, mitiga in parte l’aumento indotto dei costi ma l’effetto netto resta negativo, a maggiore ragione preoccupan­te in un momento di mercato già non particolar­mente brillante. Nel primo semestre la tessitura serica nazionale ha visto calare del 2,2% i propri ricavi, con notizie appena un poco più confortant­i per gli ordini, risaliti del 3,8% nel secondo trimestre dopo un calo analogo tra gennaio e marzo.

«I clienti fanno finta di non capire - aggiunge Arcioni - e gli effetti sono già visibili. L’altro giorno ho perso un ordine proprio perché il cliente finale, un grande marchio del lusso, ha rifiutato di accettare un aumento. E non parliamo di realtà in difficoltà ma di gruppi con ricarichi mostruosi».

Per capire su quali livelli si stabilizze­ranno i prezzi occorrerà attendere il prossimo “raccolto” di bozzoli in Cina, così come l’evoluzione futura del dollaro. Scenario incerto che tiene i produttori in apprension­e.

«Il rischio - spiega Bianchi - è che i clienti si indirizzin­o verso altri prodotti marginaliz­zando la seta». «Potrebbero puntare sulla viscosa - aggiunge Arcioni - aggravando il trend negativo dell’ultimo periodo: 15 anni fa si lavoravano in Italia cinque milioni di chili di seta, ora meno di un milione. Il rischio è quello di consegnare il mercato ai cinesi».

LA TESTIMONIA­NZA Gli imprendito­ri: «I clienti fanno finta di non capire e gli effetti sono già visibili; e così perdiamo ordini perché rifiutano gli aumenti»

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