«False» le fatture per pagare tangenti
pLe fatture emesse a fronte di consulenze non svolte ed aventi il fine di creare una provvista occulta per coprire il pagamento di tangenti configurano il reato di emissione di fatture false, a nulla rilevando che le somme in questione siano state regolarmente pagate e mai restituite e anche riportate in contabilità A precisarlo è la Corte di cassazione, sezione VI penale, con la sentenza n. 52321 depositata ieri
La pronuncia scaturisce, in estrema sintesi, da un procedimento penale relativo a reati contro la pubblica ammini- strazione commessi da alcuni imprenditori.
In tale contesto, venivano emesse delle fatture per operazioni inesistenti per occultare il pagamento di una tangente
La Corte di Appello, in particolare, riteneva che l’imputato fosse nella piena consapevolezza della falsa rappresenta- zione contenuta nelle fatture, in quanto le operazioni documentate erano inesistenti e l’inesistenza deve riferirsi a quella determinata operazione, nella specie la consulenza, mai avvenuta. Sussisteva poi il fine di evadere le imposte, sia pur concorrente con quello di occultare il pagamento della tangente, perché i documenti emessi erano tali da rappresentare un costo deducibile per l’impresa che li aveva ricevuti.
Il difensore dell’imputato, nel ricorso per cassazione, eccepiva tra l’altro che il pagamento era realmente avvenuto, non vi erano state restituzioni e che non poteva criminalizzarsi la non puntuale indicazione nel documento fiscale della prestazione svolta anche in considerazione del fatto che la consulenza indicata in fattura riguardava comunque il rapporto tra i due imprenditori coinvolti.
La Corte di cassazione ha respinto su questo punto il ricorso, rilevando che le operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte devono essere qualificate come inesistenti almeno quando l’operazione stessa dissimulata è sottoposta ad un trattamento fiscale diverso da quello riservato all’operazione formalmente documentata.
Secondo i giudici di legittimità, nella specie sono state fatturate come servizi per consulenze, somme illecitamente corrisposte e ricevute nell’adempimento di un accordo corruttivo indicando l’Iva in misura superiore a quella reale: tale imposta se dovuta per le consulenze sicuramente non lo è per le dazioni corruttive e, in ogni caso, se pagata non può essere certamente detratta dal soggetto ricevente la fattura
Il mendacio poi è rilevante anche ai fini delle imposte sui redditi in quanto nella determinazione del reddito non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni e delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo. Nella specie, evidenziano i giudici, non può dubitarsi della classificazione delle erogazioni di denaro a titolo di dazioni corruttive come costi o spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
Da ultimo circa la sussistenza della consapevolezza dei vantaggi fiscali connessi alle fatturazioni, la cassazione evidenzia che non è stato allegato alcun elemento idoneo a provare che l’imputato, peraltro commercialista e sindaco di numerose società, non fosse pienamente consapevole dei vantaggi fiscali derivabili dalla società utilizzatrice dei falsi documenti.
IL PUNTO Si configura in ogni caso la fattispecie di reato di operazioni inesistenti anc he se c’è una finalità di carattere corruttivo