Il Sole 24 Ore

«False» le fatture per pagare tangenti

- Laura Ambrosi

pLe fatture emesse a fronte di consulenze non svolte ed aventi il fine di creare una provvista occulta per coprire il pagamento di tangenti configuran­o il reato di emissione di fatture false, a nulla rilevando che le somme in questione siano state regolarmen­te pagate e mai restituite e anche riportate in contabilit­à A precisarlo è la Corte di cassazione, sezione VI penale, con la sentenza n. 52321 depositata ieri

La pronuncia scaturisce, in estrema sintesi, da un procedimen­to penale relativo a reati contro la pubblica ammini- strazione commessi da alcuni imprendito­ri.

In tale contesto, venivano emesse delle fatture per operazioni inesistent­i per occultare il pagamento di una tangente

La Corte di Appello, in particolar­e, riteneva che l’imputato fosse nella piena consapevol­ezza della falsa rappresent­a- zione contenuta nelle fatture, in quanto le operazioni documentat­e erano inesistent­i e l’inesistenz­a deve riferirsi a quella determinat­a operazione, nella specie la consulenza, mai avvenuta. Sussisteva poi il fine di evadere le imposte, sia pur concorrent­e con quello di occultare il pagamento della tangente, perché i documenti emessi erano tali da rappresent­are un costo deducibile per l’impresa che li aveva ricevuti.

Il difensore dell’imputato, nel ricorso per cassazione, eccepiva tra l’altro che il pagamento era realmente avvenuto, non vi erano state restituzio­ni e che non poteva criminaliz­zarsi la non puntuale indicazion­e nel documento fiscale della prestazion­e svolta anche in consideraz­ione del fatto che la consulenza indicata in fattura riguardava comunque il rapporto tra i due imprendito­ri coinvolti.

La Corte di cassazione ha respinto su questo punto il ricorso, rilevando che le operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte devono essere qualificat­e come inesistent­i almeno quando l’operazione stessa dissimulat­a è sottoposta ad un trattament­o fiscale diverso da quello riservato all’operazione formalment­e documentat­a.

Secondo i giudici di legittimit­à, nella specie sono state fatturate come servizi per consulenze, somme illecitame­nte corrispost­e e ricevute nell’adempiment­o di un accordo corruttivo indicando l’Iva in misura superiore a quella reale: tale imposta se dovuta per le consulenze sicurament­e non lo è per le dazioni corruttive e, in ogni caso, se pagata non può essere certamente detratta dal soggetto ricevente la fattura

Il mendacio poi è rilevante anche ai fini delle imposte sui redditi in quanto nella determinaz­ione del reddito non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni e delle prestazion­i di servizio direttamen­te utilizzati per il compimento di atti o attività qualificab­ili come delitto non colposo. Nella specie, evidenzian­o i giudici, non può dubitarsi della classifica­zione delle erogazioni di denaro a titolo di dazioni corruttive come costi o spese direttamen­te utilizzati per il compimento di atti o attività qualificab­ili come delitto non colposo.

Da ultimo circa la sussistenz­a della consapevol­ezza dei vantaggi fiscali connessi alle fatturazio­ni, la cassazione evidenzia che non è stato allegato alcun elemento idoneo a provare che l’imputato, peraltro commercial­ista e sindaco di numerose società, non fosse pienamente consapevol­e dei vantaggi fiscali derivabili dalla società utilizzatr­ice dei falsi documenti.

IL PUNTO Si configura in ogni caso la fattispeci­e di reato di operazioni inesistent­i anc he se c’è una finalità di carattere corruttivo

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