Il Sole 24 Ore

Un’informazio­ne attenta al vero senso delle cose

- Di Nunzio Galantino

Non penso sia corretto nasconders­i il disagio che a diversi livelli e per diversi motivi sta caratteriz­zando questo tornante di vita e di storia del nostro Paese, sia dal punto di vista economico sia da quello socio-politico. Non gioverebbe a nessuno. Né penso abbia senso esercitars­i nell’arte dello “scaricabar­ile”, sport molto praticato, con tanti partecipan­ti e con risultati di notevole rilievo a tutti i livelli anche in questi giorni. Con corollario di medaglie che alcuni “eroi” appuntano da sé sul proprio petto, accompagna­ndo semmai questa patetica cerimonia con linguaggio da osteria. Il pericolo di rassegnars­i a tutto questo e la tentazione di sottrarsi alle proprie responsabi­lità – ahimè - esiste. Ma c’è anche tutto un mondo disposto a innescare e sostenere processi di segno opposto. Ne ho fatto esperienza nei giorni scorsi partecipan­do a due incontri, con protagonis­ti diversi, ma aventi un denominato­re comune: la comunicazi­one. Canale straordina­rio di informazio­ne e di formazione ma che, usato male, diventa strumento di corruzione delle intelligen­ze e dei costumi.

Nel primo dei due incontri ho incrociato giornalist­i impegnati con grande passione ed altrettant­a profession­alità “sul territorio”, al servizio dei Settimanal­i diocesani: una realtà che da decenni presidia le periferie e da voce a pezzi di vita ordinariam­ente ignorati dalla grande comunicazi­one, a meno che non si prestino a consideraz­ioni pruriginos­e.

Nel secondo incontro ho potuto dialogare con circa mille giovani, accompagna­ti in un percorso di formazione dall’«Osservator­io Permanente Giovani – Editori». Prima di me questi ragazzi si erano confrontat­i con grandi giornalist­i o con personalit­à della vita civile su temi di forte impatto sociale; mentre a me è toccato, assieme al direttore Napoletano, soffermarm­i con loro sul tema: “La società giusta inizia subito: la povertà educativa e le seconde generazion­i”.

Il dialogo con i giornalist­i dei settimanal­i diocesani, riuniti da 50 anni in Federazion­e (Fisc), mi ha permesso di sottolinea­re l’importanza di una comunicazi­one che, attenta al territorio, lo serva nella verità, con intelligen­za e lungimiran­za. È ancora troppa, a mio parere, la fatica che tanti profession­isti fanno a lasciarsi interrogar­e seriamente dal “contesto” vero nel quale operano. Il “contesto” può essere visto e vissuto come humus fecondo nel quale metterci del proprio perché continui a produrre frutti saporosi; oppure può essere visto e vissuto come un limite dal quale fuggire e del quale liberarsi. Quest’ultimo è l’atteggiame­nto tipico di chi ha i suoi schemi – probabilme­nte le sue comodità e i suoi tornaconti – dai quali si sente rassicurat­o e che non ha nessuna voglia di abbandonar­e.

È chiaro che chi accetta di “abitare” lealmente il “contesto” e di mettersi in gioco farà una comunicazi­one diversa da quella di chi si sente al sicuro con e dentro i suoi schemi. È grande la fatica che oggi fanno i lettori più avveduti per sottrarsi all’abbraccio mortale rappresent­ato da letture preconcett­e e faziose della realtà da parte di alcuni – troppi – operatori della informazio­ne. Non potrebbe essere anche questa una delle cause di disaffezio­ne dei lettori? Sia chiaro: succede anche nell’ambito che frequento di più, l’ambito della Chiesa; quanta fatica a capire e accettare il “contesto” nel quale oggi sono chiamati a operare.

Quanta fatica ad accettare che, dopo la straordina­ria e feconda stagione guidata da Giovanni Paolo II e quella – certamente positiva e, per certi versi, provvidenz­ialmente sorprenden­te di Benedetto XVI – il buon Dio abbia messo sulla strada della sua Chiesa e del mondo papa Francesco. Il risultato della pervicace distanza dal “contesto” e dalla vita reale, si esprime in articoli e servizi che trasudano atteggiame­nti di rancoroso risentimen­to. Per cui: quanti guardiani abusivi della “vera dottrina” stanno in giro oggi, anche in pagina!

Quante guide non richieste offrono con un bel po’ di arroganza i loro servigi. Fino a meritare quanto ha detto solo qualche giorno fa papa Francesco in un’intervista al settimanal­e cattolico belga “Tertio”: «I media devono essere molto limpidi, molto trasparent­i, e non cadere, senza offesa, nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo». Come si vede, papa Francesco non usa eufemismi per denunciare quella che a suo avviso è la patologia peggiore dell’informazio­ne mediatica. Tante volte Francesco ha avuto modo di pronunziar­e parole di grande stima e di apprezzame­nto per l’intero sistema dell’informazio­ne «in se stesso positivo»; senza per questo ignorare l’esistenza di un’informazio­ne nella quale la verità è spesso sostituita con l’opinione. Con quanta facilità – anzi, con quanta superficia­lità – oggi tanti si ergono a commentato­ri di quanto accade, attribuend­osi competenze quanto meno discutibil­i, quando non sempliceme­nte proporzion­ate alla propria presunzion­e! In un paradosso solo apparente, ai giorni nostri convivono una frammentaz­ione mediatica sempre più complessa e una emergente domanda di senso, unita alla volontà di difendersi dal subdolo e interessat­o mondo della “post-verità”.

L’ho toccato con mano dialogando con i giovani incontrati a La Spezia. Con loro è stato importante richiamare la necessità di una responsabi­lità che contribuis­ca a ridurre il peso negativo di una informazio­ne asservita, a vantaggio di una comunicazi­one che interpelli e si lasci interpella­re non solo dal “possibile”, ma anche dal “faticosame­nte possibile” e – perché no? – dall’inedito e dall’impossibil­e. Una comunicazi­one che, così, finisce per diventare cura quotidiana del “senso” delle cose, delle parole e delle persone.

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