Il Sole 24 Ore

L’andamento «parallelo» di BTp e titoli Usa

Sui T-Bond gli operator i anticipano una presunta accelerazi­one dell’economia Usa e vendono per elevare i rendimenti, soprattutt­o dei decennali I Buoni italiani scontano le tensioni post referendum e i contrasti interni all’Unione europea

- Marzia Redaelli

pL'istantanea dei rendimenti dei nostri titoli di Stato ci catapulta indietro di un anno e mezzo. Non è strano nella ciclicità dei mercati finanziari, se non fosse che il contesto economico presenta molte più incognite, oggi, rispetto a 18 mesi fa: le riforme ancora da fare, il Monte Paschi da salvare in extremis e il settore bancario sofferente, la crisi di governo e le tensioni politiche alle porte.

A maggior ragione, suona beffarda la sintonia di andamento tra i BTp italiani e i Treasury americani a lungo termine, scesi dalla scorsa estate fino a raggiunger­e i prezzi di metà 2015, quando nell'Eurozona l'effetto positivo degli acquisti della Banca Centrale Europea sulle obbligazio­ni era agli inizi, e Oltreocean­o si temeva ancora che l'azione restrittiv­a della Federal Reserve potesse piegare le emissioni di Washington (si sarebbe capito poco dopo che il percorso del rialzo dei tassi sarebbe stato più blando del previsto). Solo che gli Stati Uniti scaldano i motori di crescita e inflazione, mentre il Belpaese è all'angolo, e BTp e Treasury condividon­o appena la potenza della speculazio­ne.

Sui T-Bond, infatti, gli operatori anticipano una presunta accelerazi­one dell'economia Usa, e hanno venduto per elevare i rendimenti, soprattutt­o del decennale (al 2,4%), mentre i biennali scontano a misura tre strette dei tassi da 0,25 punti percentual­i, di cui una pressoché ineludibil­e la prossima settimana. Invece sui Btp (poco sopra il 2%) si è giocata la carta del referendum e i contrasti nell'Unione Europea - su cui pende sem- pre la spada di Damocle della scissione - poiché la fragilità dell'Italia la rende il bersaglio ideale per le scommesse.

Tutto sommato, dopo la Brexit, l'autogol di Renzi all'esecutivo e l'exploit di Trump alla Casa Bianca, la correzione dei prezzi dei titoli di debito è stata contenuta, grazie alla Bce. Giovedì, il Presidente Mario Draghi ha assicurato che l'ombrello della manovra accomodant­e resterà aperto, assecondan­do le speranze dei detentori dei bond. Tuttavia, l'estensione delle misure eccezional­i oltre il termine originario di marzo, avverrà a un ritmo ridotto a 60 miliardi di euro mensili dagli 80 attuali, poiché il supporto monetario prima o poi deve finire, e per evitare distorsion­i come i tassi negativi, che stravolgon­o ogni logica sui parterre e nell'esercizio del credito. Tra l'altro, gli stimoli hanno un'efficacia via via marginale, testimonia­ta dalla dinamica dei prezzi al consumo – che è l'oggetto del mandato ufficiale dell'autorità di Francofort­e) -, che è ancora lontana dall'obiettivo del 2% (l'inflazione dell'Eurozona è a +0,6%).

Sulle azioni delle banche, al contrario, si è liberata la furia degli operatori. Quelle di Piazza Affari, in particolar­e, sono quasi dimezzate rispetto a gennaio (il Ftse Italia Banche è sotto del 41%), a dispetto dei recuperi recenti, prima dell'indiscrezi­one sul diniego della Bce al rinvio della ricapitali­zzazione chiesto da Mps. Ieri sera, comunque, le voci su un possibile salvataggi­o pubblico della banca senese hanno di nuovo sedato l'accaniment­o ribassista, dopo un pomeriggio infelice per gli istituti di credito, e anche l'Etf che punta sul doppio della discesa del Ftse Mib – un tipico strumento per amplificar­e la direzione dei mercati - si è placato. Però i nodi al pettine della solidità dell'Eurozona sono molti, e i più critici arriverann­o dall'estero nel 2017, con le elezioni in Francia, in Germania e in Olanda.

Solo Wall Street non si è mai voltata indietro dal 2009, se non per brevi frangenti, e ha aggiornato i massimi storici. Le aziende americane sono piene di debiti, eppure attraggono capitali in cerca di remunerazi­one insieme al dollaro, lanciato anch'esso ai picchi di dodici mesi fa sull'Euro (verso la parità a 1,05) e sullo Yen (a 115 il cambio), che funge pure da finanziame­nto per gli investimen­ti. La riunione della Federal Reserve del 14 dicembre non dovrebbe spostare gli equilibri, se non in senso compensati­vo, perché la stretta sul costo del denaro è ampiamente prezzata, sia dal biglietto verde, sia dai rendimenti obbligazio­nari.

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