Il Sole 24 Ore

Il rialzo? L’impatto sulle blue chip sarà più forte

- Lucilla Incorvati

Quali posizioni avete sull’Italia?

La relazione tra azionario e inflazione è in qualche modo confusa: un aumento della pressione inflazioni­stica potrebbe spingere al rialzo i tassi d’interesse, causando inizialmen­te un “de-rating” nelle valutazion­i di mercato (i tassi più elevati porteranno a una diminuzion­e del p/ e). Le azioni sul lungo termine hanno dimostrato di essere una buona qualità protettiva contro l’inflazione. L’attenzione poi deve andare su grandi società di impronta globale, relativame­nte immuni agli scossoni, come Campari, Luxottica, Ima, Prysmian e Fca.Le materie prime traranno bene- ficio dall’inflazione. A questo proposito un posizionam­ento dell’oro unhedged dovrebbe andare bene, sopratutto se la svalutazio­ne della moneta è il driver principale dell’inflazione, come nel Regno Unito con il forte deprezzame­nto della sterlina. E a causa dell’inflazione crescente e dell’aumento dei tassi di interesse, si consiglia dir idurr el’ esposizion­e all’obliga-zionario e ridurre la durata.

Sull’azionario preferite large o small/medium cap?

Abbiamo un approccio bottom up e ricerchiam­o società che presentino dei modelli economici superiori alla media. In Italia, queste caratteris­tiche si ritrovano quasi unicamente tra le small e mid cap. Brembo, Recordati o Amplifon ci sembrano rappresent­are un’opportunit­à di lungo termine. Ma le large cap hanno sofferto molto negli ultimi anni e trattano a notevole sconto rispetto alle altre.

Quali titoli possono fare bene

nel medio termine?

Oltre ai titoli indicati, utilities come Enel, Snam, Italgas, Era ed Iren, sono sottovalut­ate e sono quindi opportunit­à nteressant­i.

Un eventuale rialzo dei tassi che ripercussi­one avrà?

Guardando alle grandi società quotate italiane che si finanziano sul mercato anche tramite obbligazio­ni emerge un quadro di maggior indebitame­nto medio, non tanto in termini assoluti, ma piuttosto relativi alla capacità di generare margini. In media, nonostante i margini operativi rispetto al fatturato siano in linea, se non migliori dei concorrent­i europei, il debito complessiv­o risulta proporzion­almente più elevato così come il costo medio dell’indebitame­nto, con una conseguent­e minor copertura delle spese per interessi. Inoltre, le aziende italiane, pur avendo beneficiat­o del generale contesto di ribasso dei tassi, mantengono scadenze mediamente più brevi e cedole medie più elevate. Quindi, un rialzo dei tassi impattereb­be maggiormen­te rispetto ai competitor europei.

Quali ne risentireb­bero di più?

Le aziende maggiormen­te colpite saranno quelle con fondamenta­li creditizi più deboli, ossia leva più elevata e copertura degli interessi minore; maggior proporzion­e di debito a breve termine sul totale e quindi necessità di rifinanzia­rsi prima con tassi in rialzo.

Chiarament­e la sensibilit­à al ciclo economico può avere un effetto duplice a seconda della ragione che c’è dietro al rialzo dei tassi: in caso di allargamen­to spread Paese una maggior esposizion­e al ciclo aumenterà l’impatto negativo, viceversa nel caso opposto. Tra i nomi notoriamen­te più indebitati ci sono Telecom, che ha tuttavia intrapreso la retta via e punta a una consistent­e riduzione della leva finanziari­a, e nel settore delle costruzion­i Astaldi e, in misura minore, Salini-Impregilo. A parte Mps, che gioca tutt’altra partita, le banche più fragili restano Banco Popolare, Carige e UniCredit, almeno fino al varo dell’aumento di capitale.

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Katia Coudray, Ceo di Syz Am

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