Ser ve chiarezza sui compensi
Le raccomandazioni finali del Comitato per la
chiama l a maggiore attenzione e spesso rappresenta la maggiore area di contrasto tra investitori e società. La richiesta è di maggiore «chiarezza e completezza delle politiche di remunerazione». Le maggiori mancanze individuate riguardano «una applicazione ancora molto limitata di alcune raccomandazioni del Codice e una scarsa motivazione nei casi di non applicazione, in particolare per quanto riguarda l’individuazione del tetto e del peso alla componente variabile, la previsione di clausole di claw back (clausola contrattuale che prevede la possibilità di chiedere la restituzione, in tutto o in parte, dei compensi erogati sulla base di risultati non effettivi o non duraturi per condotte dolose o colpose del manager o di altri dipendenti della società, ndr) e la determinazione di criteri e procedure per le indennità di fine carica».
Nel caso delle politiche di remunerazione il codice invita le società a dare una composizione equilibrata tra componenti variabili e fisse e ad ancorarle a parametri chiari e di lungo termine. Da quanto emerge dal rapporto di Assonime ed Emittenti titoli, «molto frequente è il riferimento a indicatori di matrice conta- bile (98% dei casi), mentre è meno diffuso è il riferimento a obiettivi “di business” (54% dei casi). Nel 48% dei casi è comunicato il collegamento del variabile al valore di mercato delle azioni (piani stock-based o piani phantom), che risulta più frequente tra le società maggiori (76% delle società Ftse Mib) e nel settore finanziario (74% dei casi), in particolare nelle banche (77%)». Quanto agli obiettivi, in genere c’è un mix tra obiettivi a breve e a medio-lungo termine. Solo però nel 5% dei casi sono questi ultimi il parametro esclusivo, mentre se si scelgono solo di breve periodo, si sale al 23% dei casi.
L’84% dei casi delle società che aderiscono al codice, mette un tetto alle componenti variabili. Ma quelle che non lo fanno, non si preoccupano neanche tanto di spiegare le loro motivazioni. Le clausole di claw back sono quelle che prevedono la possibilità di chiedere la restituzione di parti della retribuzione variabile già versate o di trattenere somme oggetto di differimento, se queste risultano determinate sulla base di dati che si siano rivelati in seguito manifestamente errati. Qui le percentuali cadono drammaticamente: si arriva al 48% dei casi. Percen- tuali che salgono tra le imprese maggiori e in quelle del settore finanziario. In genere le società che fissano queste clausole sono piuttosto dettagliate nell’indicare i casi in cui esse esplicano la loro efficacia. L’altro elemento è la fissazione delle indennità di fine carica. Anche qui l’indicazione di un tetto esplicito alla “buonuscita” del manager è indicato chiaramente nel 52% dei casi.
Alla fine la conclusione del Comitato è che «la politica di remunerazione della maggior parte delle società quotate presenti ancora elementi di scarsa trasparenza riguardo alle indennità di fine carica, non prevedendo pattuizioni esplicite o misure che limitino la discrezionalità al momento in cui si verifica l’evento».
Quest’anno poi hanno ripreso a crescere le remunerazioni dei manager delle società del segmento “maggiore”, il Ftse Mib. Una crescita (si vedano i grafici qui in basso) trainata soprattutto dalla parte variabile. Rispetto all’anno scorso, quando un amministratore delegato del segmento prendeva 1,7 milioni circa, quest’anno si è tornati a superare i 2,2 milioni.