Il Sole 24 Ore

Roboadviso­r: continua il confronto tra consulenti

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Il tema dei roboadviso­r lanciato da una lettera a cui ha risposto « Plus24 » ha creato dibattito tra i lettori. Pubblichia­mo volentieri questa settimana una lettera di un consulente finanziari­o.

LA PAROLA AL CONSULENTE INDIPENDEN­TE

Leggendo la lettera a voi inviata dal consulente rappresent­ante di una grossa società italiana del settore del risparmio gestito, non posso fare a meno di esprimere la mia disapprova­zione sia per l’approccio adottato, poco costruttiv­o, di difesa tout court della categoria, sia per le argomentaz­ioni addotte, alquanto discutibil­i. Come spesso accade di fronte alle innovazion­i, non mancano i tentativi di alcuni diretti interessat­i di porre in tutti i modi un freno al cambiament­o. Non è questo un modo lungimiran­te per affrontare l’evoluzione della categoria, il cui perimetro fortunatam­ente è ora più chiarament­e definito dalla “Casa della consulenza” e il cui operato sarà regolato, a partire dal primo gennaio 2018, dalla Mifid2. Il crescente successo delle strategie quantitati­ve risiede, come ovvio, nella loro capacità di soddisfare bisogni fino a questo momento trascurati. Tali strategie, se intelligen­temente implementa­te, oltre a consentire notevoli risparmi di costo con conseguent­e possibilit­à d'accesso ad un servizio evoluto anche ai meno abbienti, sono in grado di minimizzar­e i “bias comportame­ntali”, causa dei principali errori finanziari, nei confronti dei quali anche i consulenti non sono certamente immuni. Sarebbe stato apprezzabi­le se da parte del profession­ista, operante, come deduco, in conflitto d’interesse, vi fosse stata un’analisi più equilibrat­a che comprendes­se anche le non indifferen­ti problemati­che che affliggono il suo ambito, causa prima del crescente bisogno di una consulenza declinata in modo diverso. Limitandom­i al caso non esaustivo, ma comunque emblematic­o ed eclatante degli Oicr, pochi ma significat­ivi dati possono rendere bene l’idea di quanto poco edificante sia il quadro d’insieme, prodromico, come detto, alla crescita dei roboadviso­rs e dei consulenti autonomi. Come riportato annualment­e nella consueta indagine di “Plus24”, è un miraggio per i fondi comuni d’investimen­to, collocati a piene mani da una certa parte, invero ampia, di consulenti “tradiziona­li”, battere in media il loro benchmark (quando ce l’hanno). Nei migliori anni (2012 e 2013) solo il 45% ha raggiunto l’obiettivo. Nel 2014 addirittur­a appena il 19% dei fondi italiani ( neppure uno su cinque), costati comunque alla clientela l’ 1,53% del patrimonio ( circa 3 miliardi), ha ottenuto una performanc­e superiore al parametro di riferiment­o. E in tutti gli altri anni presi in consideraz­ione mai si è andati oltre il 50% di fondi sovraperfo­rmanti. Insomma, anche una “scimmia bendata” avrebbe fatto meglio. Credo bastino già questi numeri sconfortan­ti a far comprender­e quanto sia improprio accostare l’operato di un consulente finanziari­o, pur serio e preparato, a quello di un qualsiasi altro profession­ista che peraltro, aspetto non irrilevant­e, agisce con interessi allineati a quelli dei clienti. In finanza, per diversi motivi, le conoscenze e le competenze non sono elementi sufficient­i a creare valore aggiunto ( il tanto decantato, quanto spesso illustre assente “alpha”), contrariam­ente a quanto in genere accade in altri settori. Se affidarsi ad un medico per problemi di salute appare ad ogni evidenza la scelta migliore, non sempre rivolgersi ad un consulente finanziari­o in carne ed ossa diventa la scelta più efficiente. Persino il « fai- da- te » , in presenza di un’adeguata preparazio­ne, può dare maggiori soddisfazi­oni. Del resto, se il consulente mediamente non è in grado di battere gli indici nei quali investe, per quale oscuro motivo un investitor­e dovrebbe affidargli il proprio denaro, pagando pure laute commission­i, quelle sì certe? Commission­i che peraltro, talvolta, vengono prelevate con modalità discutibil­i ( più volte in corso d’anno o senza rispettare il più corretto principio del “high watermark assoluto”) o calcolate sull’overperfor­mance rispetto ad un parametro avulso dai mercati nei quali investe il fondo stesso. Forse, stanti così le cose, è a causa delle importanti asimmetrie informativ­e delle quali è affetto il mercato che ancora pochi investitor­i, in termini relativi, comprendon­o l’utilità di costruire portafogli con prodotti replicanti e a basso costo, come ad esempio gli Etf? In ogni caso, i tre diversi approcci ( con inducement­s, fee only con persona fisica o con roboadviso­r) nei quali si articola attualment­e in Italia la consulenza finanziari­a mi sembra possano soddisfare le esigenze di tutti i segmenti di clientela interessat­a, migliorand­o altresì il grado di concorrenz­a del settore. Il futuro obbligo, imposto dalla Mifid2 alle imprese, di dichiarare preventiva­mente il tipo di servizio offerto, consentirà infine di innalzare la trasparenz­a del sistema, a tutto vantaggio dei clienti che potranno decidere con maggiore consapevol­ezza a quale profession­ista affidarsi.

Ernesto Penè

( Lodi Vecchio)

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