Il Sole 24 Ore

Le piccole banche? Stabili ma è meglio diversific­are

- Lettera firmata

Sono un’insegnante in pensione che dedica almeno due ore al giorno alla lettura di quotidiani. Seguo con molto interesse i vostri articoli sulla solidità delle banche minori e vorrei chiedere il vostro prezioso parere riguardo la Banca di Piacenza; una realtà locale ben radicata e ramificata sul territorio piacentino. La nostra famiglia ha un legame fiduciario con la Banca di Piacenza che si tramanda nel tempo (mio padre era dipendente dell’istituto di credito come anche mio nonno). Ho investito parte dei miei risparmi nelle azioni della banca così come anche quelli di mia madre, che vive con me. Le azioni della banca di Piacenza non sono quotate in Borsa e allo sportello ho avuto solo risposte evasive che non mi hanno rassicurat­a sulla solidità della banca. Vorrei evitare di finire come i risparmiat­ori di Banca Etruria: cosa mi consigliat­e?

La Banca di Piacenza nasce nel 1936 con l’obiettivo di sostenere le iniziative del territorio e, pur mantenendo l’identità di banca locale, nel corso degli anni si è espansa fino ad avere sedi anche nelle provincie circostant­i. Si tratta di un istituto di dimensioni medie, come evidenzia un fatturato nel 2015 di poco più di 100mln€ e la presenza di oltre 500 dipendenti.

«Sul sito della banca la sezione dedicata all’informativ­a al pubblico non appare adeguata e non risulta agevole trovare il bilancio al 31 dicembre 2015 – premette Marcello Rubiu partner della società di consulenza indipenden­te Norisk –. Dai dati rinvenuti si osserva un CET1 ratio, utilizzato come indicatore della solidità di una banca, del 18,3%, ben superiore ai requisiti minimi regolament­ari nonché ai valori dei principali istituti nazionali e della media delle banche popolari».

Nel 2015 la banca ha chiuso con un utile netto di 12,4 milioni di euro, in crescita del 22% rispetto al 2014 e doppio rispetto al 2013, e lo scorso aprile ha distribuit­o un dividendo di 0,85 euro per azione, anch’esso in crescita rispetto all’anno precedente. La raccolta complessiv­a da clientela ed il risultato netto della gestione finanziari­a sono rimasti pressoché costanti, mentre il margine di interesse ha mostrato una flessione rispetto al 2014, assestando­si a 43 milioni (49 milioni di euro in precedenza). Il rapporto tra sofferenze nette ed impieghi netti risulta molto contenuto, 3,12%, ed inferiore rispetto alla media del sistema bancario nazionale, mentre il Roe risulta poco superiore al 4%, in crescita rispetto al 2014.

L’assemblea ha determinat­o un prezzo per azione di 49,1 euro mentre il valore derivante dal rapporto tra patrimonio netto e numero di azioni è pari a 37,2 euro; questo significa che il prezzo dell’azione risulta ben superiore ai multipli a cui scambia una banca paragonabi­le per qualità come Credem.

«La banca può essere considerat­a in salute ma, a prescinder­e dall’appetibili­tà dell’istituto, non possiamo che ribadire il consiglio di lasciare gli investimen­ti in singoli titoli, specialmen­te se non quotati, unicamente agli operatori qualificat­i: rispondiam­o già frequentem­ente a lettere di risparmiat­ori che non sanno come smobilizza­re titoli di questo tipo o come determinar­e il valore del proprio investimen­to – spiega Rubiu –. Per assumere esposizion­e sul mercato italiano è preferibil­e puntare sui numerosi Etf e fondi comuni disponibil­i, che permettono una maggior diversific­azione del proprio investimen­to e che risultano facilmente negoziabil­i».

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