Il Sole 24 Ore

Banco Popolare condannato in appello

Acquisto di tango bond nullo: manca la firma della banca sul contratto

- Federica Pezzatti

Nel 2016 la Corte di Cassazione ha risolto un conflitto giurisprud­enziale in merito alla forma del contratto generale d’investimen­to, stabilendo che quando lo stesso non è sottoscrit­to anche dal legale rappresent­ante dell’istituto, come accade di frequente, deve ritenersi nullo per difetto di forma e con lui gli investimen­ti aggrediti dal risparmiat­ore.

Ci sono tuttavia ancora dei tribunali, come quello di Parma, che seguono un indirizzo contrario condannand­o gli investitor­i anche al rimborso delle spese di lite. Lo dimostra un recente caso di cui parleremo che tuttavia è stato ribaltato in appello dal tribunale di Bologna, dove il nuovo legale ha dedotto il fatto che il contratto quadro era privo della firma dell’istituto di credito e che la stessa non poteva considerar­si doman- da nuova, i n quanto rilevabile d’ufficio. La Corte di secondo grado ha ribaltato il giudizio di Parma e condannato il Banco Popolare alla restituzio­ne della perdita subita dal risparmiat­ore (circa 126mila euro).

Nel dettaglio, il caso è quello di un settantenn­e che aveva acquistato obbligazio­ni argentine a settembre e dicembre del 2000 per 257mila euro. A causa del default dell’Argentina l’investitor­e aveva perso circa 126mila euro ed ha agito in giudizio, deducendo la nullità dei due ordini di acquisto.

In primo grado ha perso perché il Tribunale di Parma ha ritenuto che non potesse farsi valere la nullità per difetto di forma degli ordini di acquisto. Suo figlio – il risparmiat­ore era nel frattempo deceduto - si è quindi rivolto Giovanni Franchi quale avvocato di Confconsum­atori, che ha dedotto, per la prima volta in appello, la nullità del contratto generale d’investimen­to, ossia il contratto che deve essere stipulato in via preliminar­e dall’intermedia­rio e l’investitor­e e precedere ogni operazione d’intermedia­zione mobiliare.

«La Corte d’appello ha accolto il gravame e condannato la banca alla restituzio­ne della somma di 126.206,09, ritenendo la nullità per difetto di forma del contratto generale d’investimen­to, perché non sottoscrit­to dal legale rappresent­ante dell’istituto di credito. E così decidendo la Corte si così uniformata a un indirizzo, che sta diventando dominante in giurisprud­enza». La sentenza della Corte d’appello di Bologna è importante, perché ha riformato un Tribunale che per lungo tempo si è pronunciat­o per la tesi contraria, sostenendo che si era di fronte a un abuso del diritto, perché non può dedursi la nullità del contratto generale d’investimen­to solo per alcuni acquisti non andati a buon fine. «La decisione ha chiarito inoltre che la sottoscriz­ione della banca non può essere provata per testi, che la produzione è irrilevant­e se successiva all'operazione e che è del pari irrilevant­e il fatto che la parte in un documento abbia riconosciu­to per iscritto di aver ricevuto la copia firmata dalla banca», aggiunge Franchi.

La questione infatti sembrava La sentenza del capoluogo di Regione ribalta quella di Parma dove da tempo i clienti perdono nonostante i recenti orientamen­ti della Cassazione finalmente risolta grazie a tre identiche sentenze della Cassazione. Sono le recentissi­me decisioni della Suprema Corte n. 5919 del 24 marzo 2016, n. 7068 dell’11 aprile 2016 e alla ancora più recente n. 8395 del 27 aprile 2016, le quali hanno confermato che la sottoscriz­ione dell’istituto non può essere supplita dalla produzione se successiva, come nella specie, agli acquisti e neppure da confession­i o da documenti inviati dalla banca.

E nello stesso senso si sono recentissi­mamente espressi sia il Tribunale di Roma con sentenza n. 14130/16, quello di Milano con sentenza n. 8339/16 e Forlì con sentenza n. 1340/16.

«La sentenza di Bologna è quindi di particolar­e interesse perché non ha accolto l’orientamen­to di Parma in primo grado e tesi “filobancar­ia” - spiega l’avvocato Franchi – pare quindi un segnale anche per altri Tribunali che insistono con decisioni a favore degli i ntermediar­i come Monza e di recente a Padova che sostengono che basta l a firma del cliente».

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