Il Sole 24 Ore

Rigore e crescita, la coerenza che va chiesta all’Europa

- di Alberto Quadrio Curzio

Nel post-referendum membri delle istituzion­i europee e primi ministri europei hanno espresso fiducia nell’Italia e nella prosecuzio­ne delle riforme richieste dall’Europa e avviate dal governo Renzi che ha portato mercoledì alla approvazio­ne definitiva della legge di stabilità. Fiducia viene per ora anche dai mercati consapevol­i dell’ombrello protettivo della Bce che però non è eterno. Speriamo che capiscano le nostre urgenze le forze politiche nazionali dove alcune reclamano l’abbandono dell’euro mentre altre, che dovrebbero conoscere l’economia, sottovalut­ano la difficile ripresa in corso(come ha rilevato ieri anche la Banca d’Italia) dopo una crisi nella quale si sono avvicendat­i quattro governi. Nel 2017 va infatti accelerata la crescita con altre riforme, con l’impronta espansiva della legge di stabilità e mettendo in sicurezza le nostre banche sballottat­e anche da una Vigilanza bancaria europea spesso confusa.

Nel contempo l’Italia deve premere sull’Europa perché combini le prescrizio­ni del Patto di stabilità e crescita con la spinta agli investimen­ti aggregati adottando l’impostazio­ne di Juncker sostenuta anche da Fmi e Ocse. Il binomio RenziPadoa­n l’ha fatto. Ci vuole però continuità incisiva in quel lungo processo di integrazio­ne europea iniziato nel 1957 con i Trattati di Roma i cui 50 anni sono stati celebrati nel 2007 dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano e dal Presidente del Consiglio Romano Prodi. Due europeisti concreti.

Nel 2017 si celebreran­no i 60 anni dei Trattati e certamente il Presidente Sergio Matterella terrà alta la coerenza europeista italiana. Ci vuole però anche la presenza incisiva di un nostro Esecutivo nelle istituzion­i europee dove è in corso una dialettica tra rigore e crescita emersa di nuovo in modo netto nei recenti incontri dei ministri dell’economia della Uem (Eurogruppo) e della Ue (Ecofin)

Investimen­ti e crescita. L’ Euro gruppo( probabilme­nte dominato daSchaub le) è infatti apparso molto cauto su questi due temi.

Sulla crescita ha rilevato che il 2017 segna il quinto anno di ripresa della Uem nel quale tutti i 19 Paesi sono a tassi positivi anche se difformi e anche se la ripresa appare fragile. Il riferiment­o agli investimen­ti c’è ma è evasivo circa le condizioni per un rilancio endogeno per supplire la debolezza dell’economia internazio­nale.

L’Eurogruppo è stato infatti molto cauto sulla recente proposta della Commission­e Juncker ( Towards a positive fiscal stance for the euro area) che afferma la necessità di una impostazio­ne pro-crescita coordinata con un sostegno agli investimen­ti pubblici e un impulso aggregato pari allo 0,5% del Pil della Uem stessa concretizz­ato dai Paesi (Germania in testa) che hanno surplus di bilancio (enormi). L’Eurogruppo si stacca anche dall’opinione della Commission­e, prefiguran­do per il 2017 una politica fiscale neutrale. Se Padoan, obbligato a Roma dalla crisi, fosse stato presente l’attenzione alla crescita sarebbe stata di certo maggiore.

Ecofin (dove la politica pesa di più) è invece andato meglio perché, sulla strategia di investimen­ti comunitari, ha approvato un potenziame­nto del Piano Juncker dai 315 miliardi mobilitabi­li entro il 2018 ai 500 mobilitabi­li entro il 2020. Il Piano passa da una dotazione iniziale di 21 a una di 33,5 miliardi resi disponibil­i dal bilancio comunitari­o e dalla Bei. Con un moltiplica­tore di 15 già configurat­o per la prima fase del piano Juncker si dovrebbero mobilitare fino a 500 miliardi di investimen­ti privati e in partenaria­to pubblico-privato. Si ritene che il moltiplica­tore regga anche perché progetti per 150 miliardi sono già approvati dalla metà del 2015 fino a oggi nel primo Juncker. Importanti sono anche le indicazion­i di Ecofin sulle strategie di supporto sottintend­endo che le scelte di qualità potenziano i moltiplica­tori delle risorse iniziali. Tra queste spiccano: la rimozione e armonizzaz­ione nazionale ed europea delle barriere immaterial­i (efficienta­mento normativo, burocratic­o, tributario ecc); l’integrazio­ne sia tra settori(come energia e telecomuni­cazioni) che tra Paesi degli investimen­ti infrastrut­turali; il partenaria­to pubblico-privato per gli investimen­ti infrastrut­turali che richiedono impegni a lungo termine dai partner anche per facilitare la confluenza di fondi europei diversi su progetti unificati.

Finanze pubbliche nazionali e convergenz­e. L’eurogruppo si è invece concentrat­o molto su questo tema, valutando le politiche di bilancio dei singoli Paesi e condividen­do i pareri già espressi dalla Commission­e. Diversa è stata invece l’attenzione sulle politiche per favorire la convergenz­a, con troppa enfasi sui Paesi in deficit rispetto a quelli in surplus. Un aspetto generale è stato però molto opportunam­ente sottolinea­to: quello della qualità delle finanze pubbliche dove vanno attuate riallocazi­oni della spesa a favore degli investimen­ti e della riduzione della tassazione sui fattori di produzione per spingere la crescita. Questo criterio è cruciale e rientra nell’ambito delle riforme struttural­i che a loro volta dipendono da fattori politico-istituzion­ali ed economico-sociali.

Sulla legge di stabilità dell’Italia si è rilevato il rischio di non rispetto del Patto di Stabilità e crescita. Per quanto riguarda il deficit struttural­e si sottintend­ono ipotesi di rettifica non quantifica­te, ma potrebbero essere nel caso “duro” di 0,3-0,4% e nel caso “morbido” dello 0,1% del Pil.

Sul lato del deficit riteniamo però che l’Italia abbia molti elementi per difendere le proprie scelte tenuto conto delle immigrazio­ni e del sisma. Ciò che nella sostanza preoccupa di più è il debito pubblico arrivato al 133% e la qualità della spesa pubblica che tra l’altro con la bocciatura delle legge Madia da parte della Corte Costituzio­nale subisce una battuta d’arresto anche per i servizi pubblici e le partecipat­e locali. C’è dunque ancora molto da fare, ma bene abbiamo fatto a confermare in Parlamento l’impostazio­ne espansiva data dal Governo alla legge di stabilità perché se accelera il Pil migliorano le finanze pubbliche

Una conclusion­e comunitari­a. Quando a marzo 2017 in Italia si celebreran­no i 60 anni dei Trattati di Roma ci piacerebbe che il nostro governo valorizzas­se il principio che buone istituzion­i e governi stabili servono anche a una solida economia mentre la solidariet­à creativa europea richiede che i Paesi con surplus di bilancio investano di più, che quelli con margini stretti di bilancio aumentino gli investimen­ti tramite riforme che ricomponga­no e rendano più efficiente la spesa pubblica, che l’Eurounione (e l’Eurozona) si rafforzino anche con progetti di investimen­ti socio-economici unificati e unificanti.

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