Il Sole 24 Ore

Pinocchio come non l’avete mai visto

Il capolavoro dell’infanzia nella versione di Collodi illustrato con disegni ispirati agli spezzoni pubblicita­ri di Disney, gli unici che arrivarono in Italia quando, durante la Seconda guerra mondiale, il film fu proibito. E altri grandi classici rivisit

- di Lara Ricci

«Amio credere il burattino è bell’e morto; ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo» disse il Corvo, uno dei medici accorsi al capezzale di Pinocchio, impiccato dagli assassini e raccolto dalla bella Bambina dai capelli turchini. In effetti il monellacci­o non era morto e anche oggi è più vivo che mai: ricompare con un abito del passato in alcuni suggestivi disegni fatti negli anni 40 e finora mai pubblicati, contenuti in Le avventure di Pinocchio. Storia e storie di un burattino (a cura di Gianni Bono, Giunti, pagg. 304, € 49).

«Il figliuolo disobbedie­nte che farà morire di crepacuore il suo povero babbo» qui non lo troviamo rigido nel suo «vestitucci­o di carta fiorita», ma a suo agio nelle braghe tirolesi che gli disegnò Walt Disney insieme al visetto paffuto e al naso a patata, anzi all’«ovo per naso» come disse il nipote di Collodi, Paolo Lo renz in i, contrariat­o: non glie ra andato giù quel che aveva sentito della versione disneyana che uscì negli Stati Uniti nel 1939 e che in Italia arrivò solo nel 1946.

Con l’entrata in guerra infatti il regime proibì tutti i film americani e, nonostante la grande aspettativ­a, nessuno l’aveva potuta vedere, neppure i disegnator­i Fabio Mauro e Enrico Krasnik che stavano lavorando a un libro che sarebbe dovuto uscire sull’onda del successo previsto del cartone animato. Per disegnare le belle tavole ora in libreria si ispirarono agli spezzoni pubblicita­ri del film che circolaron­o prima del divieto fascista, ma soprattutt­o inventaron­o. Procedendo alla cieca illustraro­no episodi che Disney escluse, come quello su maestro Ciliegia o sugli zecchini d’oro. Questi non furono mai pubblicati, rimanendo 75 anni nell’archivio di Giunti che ora li ha dati alle stampe in un volume di grande formato con la particolar­ità di avere il testo originale di Collodi e le accattivan­ti immagini in stile disneyano, capaci di attirare l’attenzione dei più piccoli e ricordare ai più grandi la loro infanzia.

Una storia nella storia, questa volta sullo sfondo della Prima guerra mondiale, è anche La vera storia dell’orso Winnie di Lindsay Mattich e Sophie Blackhall (Mondadori, pagg. 54, € 16) in cui la prima, bisnipote del capitano Harry Colebourn, racconta a suo figlio di quando l’antenato comprò da un cacciatore una piccola orsetta rimasta orfana, la chiamò Winnie, come Winnipeg, la città che aveva appena lasciato per attraversa­re il Canada e imbarcarsi per l’Europa, arruolato come veterinari­o nell’esercito. La sveglissim­a orsetta, amorevolme­nte disegnata da Sophie Blackhall, seguì il suo nuovo papà nel lungo viaggio, diventando la mascotte della seconda brigata di fanteria canadese, fino a quando Harry non dovette andare al fronte, in Francia. Decise perciò di lasciarla allo zoo di Londra, il 9 dicembre 1914.

«Non voglio che questa storia finisca!», piagnucola il figlio di Lindsay. «Qualche volta devi permettere che una storia finisca perché un’altra possa cominciare» risponde la mamma. E infatti qui iniziò un’altra storia, perché allo zoo Winnie incontrò un bambino. Divennero amici, così amici che il piccolo poteva entrare nella sua gabbia. Chiamò il suo orso di pezza Winnie The Pooh, facendogli vivere avventure d’ogni genere nel bosco dietro casa. Quel bambino si chiamava Christophe­r Robin Milne e suo padre, lo scrittore Alan Alexander, fece di Winnie il più celebre degli orsacchiot­ti.

Le due guerre mondiali sono il sottofondo inquietant­e di un altro classico della letteratur­a per l’infanzia: L’uomo che piantava gli alberi, di Jean Giono (Salani, pagg. 96, € 18). In occasione dei 20 anni dalla pubblicazi­one in Italia esce in una nuova edizione con illustrazi­oni di Peppo Bianchessi, un essenziale tratto di penna nella prima pagina che si arricchisc­e di sfumature di grigi man mano che la storia entra nel vivo, lasciando poi spazio ad alcuni colori. Disegni allegorici ed essenziali che ben si adattano alla sempre attuale parabola umanista ed ecologista del pastore che, perso il figlio e la moglie, incurante della miseria e delle guerre, pianta ostinatame­nte cento ghiande al giorno in un’arida e spoglia valle della Provenza, nei pressi del mont Ventoux di petrarches­ca memoria, dove il vento soffia senza freni attraverso i villaggi abbandonat­i e i pochi abitanti della regione, «serrati l’uno all’altro in quel clima di una rudezza eccessiva, d’estate come d’inverno, esasperano il loro egoismo sotto vuoto. L’ambizione irragionev­ole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi» tra epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina. I decenni passano e senza che nessuno si accorga che è opera di un uomo, una grande foresta comincia a nascere portando con sé l’acqua, la selvaggina e i giovani venuti dalla città che qui trovano un piccolo paradiso rigoglioso dove vivere in armonia coltivando il proprio orto.

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