La finanza si misura con l’impatto sociale
a «Creare un mondo sano, giusto e sostenibile. Trovare nella circolarità il nostro futuro: come nell’amicizia e nell’amore, prendere e restituire deve essere la base delle relazioni tra le persone, le imprese e il pianeta». Quindici anni fa la visione di LifeGate suonava magari un po’ naïf. Ora il paradigma della community italiana della sostenibilità è diventato mainstream. Reso necessario dalla crisi economica, prima. E reso urgente ora dalle richieste forti che, da tutta Europa, giungono di una diversa e più equa redistribuzione della ricchezza economica e sociale. A fine novembre LifeGate è arrivata in Borsa - assieme a Sella Gestione - Sgr con Investimenti Sostenibili LifeGate, il primo fondo comune di investimento a impatto a quotarsi in Italia. Questo fondo non si limita a escludere gli strumenti finanziari emessi da società coinvolte in settori notoriamente poco etici o da stati sovrani in cui non siano rispettate le libertà individuali, ma investe in strumenti in linea con aspetti ambientali, sociali e di governance che generano un impatto positivo.
LifeGate si lancia così in un mercato piccolo ma in grande fermento e in cerca di una fisionomia chiara dei suoi profili di offerta. Secondo un report appena pubblicato di Global Impact Investing Network Survey, il mercato dell’impact investing è cresciuto dai 25,4 miliardi di dollari del 2013 ai 35,5 miliardi del 2015, con una crescita annuale del 18 per cento. In Italia la situazione è più sfumata, secondo l’Italy Impact Investing Outlook, che verrà presentato alla School of Management del Politecnico di Milano dal centro di ricerca Tiresia a gennaio.
Il rapporto ha considerato 1.280 operatori tra private equity, venture capital, banche, fondazioni bancarie e di impresa, incubatori, società di gestione, family office, fondi pensione, assicurazioni e grandi imprese. Di queste, circa 60 rispondono a caratteristiche tali da poter essere iscritte a qualche titolo nel perimetro degli operatori di impact investing. L’immagine che ne esce è un mercato caratterizzato da alcune esperienze pionieristiche di grande rilievo, sia sul fronte dell’equity – ad esempio Oltre Venture -sia su quello del debito, come Banca Prossima, con numeri ancora piuttosto piccoli in termini di capitali gestiti e di effettivi investimenti ma con prospettive immediate di rapida evoluzione, legate ad alcuni fattori ben identificabili.
In primo luogo, l’attenzione progettuale riscontrata in grandi operatori istituzionali. Grandi banche stanno progettando strumenti per ampliare le possibilità di raccolta ad esempio da family office o high net worth individuals oppure in cerca di opportunità di impiego alternative. Il sempre minor scetticismo di private equity tradizionali. L’imminente aumento di attività sul mercato dei fondi a impatto sociale da parte delle principali fondazioni ex bancarie, tra cui Fondazione Cariplo - già attiva con un importante fondo di housing sociale e un fondi di fondi per il microcredito - Compagnia di San Paolo e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, molto attente allo sviluppo equilibrato di nuovi strumenti finanziari e la promozione degli ecosistemi territoriali in grado di trarne beneficio. La crescente attenzione politica riservata a questi strumenti, con le norme di incentivo fiscale agli investimenti, il recente lancio del fondo a impatto della Regione Sardegna, il fondo promosso da Invitalia, l’imminente avvio della Fondazione Italia Solidale e soprattutto la progettualità emergente dalle organizzazioni intermedie, incubatori, acceleratori e associazioni. Ed ancora, la crescente evoluzione di forme evolute e strutturate di imprenditorialità sociale, insieme al lavoro di advocacy e coesione tra domanda e offerta svolto dalla Social Impact Agenda per l’Italia. Ancora timidi segnali, invece, sul fronte assicurati- vo, dei fondi pensione e del retail bancario, queste due ultime ritenute le categorie di protagonisti in grado di far scalare il mercato verso numeri decisamente più consistenti.
Ma quali sono le barriere che impediscono al settore di svilupparsi come sta avvenendo in numerosi altri paesi? La principale difficoltà, secondo l’indagine di Tiresia, sono i rendimenti troppo bassi, in particolare se paragonati al profilo di rischio, e l’assenza percepita di exit options. La barriera più importante è la relativa scarsità di opportunità di investimento coerenti con i principi della finanza a impatto sociale. Inoltre, tra gli ostacoli più ricorrenti, vi è il small ticket problem, ovvero la dimensione ridotta del taglio medio degli investimenti, incompatibile con gli elevati costi di transazione, insieme all’assenza di dati storici, statistici e di valutazione delle performance finanziarie e sociali e soprattutto l'assenza di metriche di impatto.
La maggior parte degli investimenti si colloca su taglie piuttosto piccole rispetto ai trend internazionali, con aspettative di rendimento nulle o sensibilmente inferiori ai rendimenti di mercato. Inoltre vi è ancora un netto sbilanciamento verso lo la caratterizzazione filantropica, nonostante per dimensione di capitali gestiti le potenzialità di crescita siano fortemente concentrate sugli strumenti di natura più finanziaria.
Il mercato sta attraversando un periodo di transizione verso una fase più strutturata. Gli investitori affermano quasi unanimemente di voler mantenere o accrescere l’impegno economico nel mercato degli investimenti a impatto sociale nei prossimi due anni. Inoltre, identificano una domanda di risorse finanziarie da parte delle organizzazioni dell’economia sociale che non ha ancora trovato risposta. Il coinvolgimento nella progettazione di queste ultime e i servizi non finanziari, sono largamente individuati come elementi strategici. Gli operatori considerano lo sviluppo di tecniche e infrastrutture di misurazione l’elemento imprescindibile per il futuro del settore, come confermato dall’impegno degli investitori nello sviluppo di strumenti per la misurazione e il monitoraggio dell'impatto sociale degli investimenti. Le intenzioni di allocazione in fondi di impatto sociale per il 2016 da par te di 158 organizzazioni a livello mondiale tra cui fondazioni, banche , istituzioni finanziarie, fondi pensioni e assicurativi