L’addio di Rosberg, anche uscire di scena può essere un’arte
Non discuto sulle ragioni che hanno indotto Nico Rosberg a chiudere la sua carriera all’indomani della vittoria del titolo mondiale di Formula 1. Ma non sono d’accordo sugli elogi che ha ricevuto per questa “coraggiosa” decisione. I grandi campioni non si ritirano al primo titolo conquistato. Basta pensare a Owens, Bartali, Coppi, Merckx, Lauda, Marciano, Bolt fino aValentino Rossi e Federica Pellegrini. Rosberg si comporta da “ragioniere” e non solo in pista. Ha avuto solo la fortuna di trovarsi per le mani una macchina imbattibile. Non sarà mai ricordato come un grande campione.
Gianfranco Belisari
Milano A me la decisione di Nico Rosberg suscita un sentimento di umana simpatia. Il pilota ha rinunciato a passare alla storia come un pluri-campione, ma ha manifestato serenità ed equilibrio, doti rare. Ha dimostrato di poter vincere, e tanto gli è bastato. Ha rinunciato allo stress della competizione inesausta, ha ricordato che si può essere appagati senza insistere, ha rinunciato ai riflettori. Perché non rispettarne la scelta? Con tutta l’ammirazione per i campioni citati, perché non ammettere che il ritiro può essere una virtù? In fondo, a tanti esponenti di classe dirigente non rimproveriamo proprio un morboso attaccamento alle posizioni acquisite? Immagino l’obiezione: gli sportivi ci regalano emozioni, i papaveri di varia natura ci infliggono delusioni, per non dir di peggio. Perciò, appunto, non è male che qualcuno ci ricordi che uscire di scena è un’arte, di cui non lasciare la regia solo al Padreterno.