Il Sole 24 Ore

Equivalent­i astratti dell’universo

- di Vincenzo Barone vincenzo. barone@ uniupo. it

« Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruir­e l’universo rallegrand­olo, cioè ricreandol­o integralme­nte. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabil­e, all’imponderab­ile, all’impercetti­bile. Troveremo degli equivalent­i astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combinerem­o insieme, secondo i capricci della nostra ispirazion­e, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto.» Prima ancora di annunciare questo proposito nel manifesto Ricostruzi­one futurista dell’universo dell’ 11 marzo 1915, Giacomo Balla aveva cominciato a metterlo in atto, ispirandos­i all’universo del moto, della luce e degli astri per dare forma visiva alla poetica del futurismo. Ne erano scaturite le Velocità astratte , le Compenetra­zioni iridescent­i e soprattutt­o la serie di disegni e dipinti del Mercurio che transita davanti al Sole, esempio nitido di « concezione e sensazione finalmente riunite» – il tratto distintivo della pittura futurista, nelle parole di Umberto Boccioni.

Balla, appassiona­to astrofilo, nutriva un profondo interesse per l’osservazio­ne del cielo. « Era affascinat­o – scrive la figlia Elica – da quel mistero di luce e di vita nell’Universo stellato; diceva che ci dovevano essere altri mondi abitati poiché la luce è uguale in tutto l’Universo » . Anche Filippo Tommaso Marinetti ricordava l’amico che « a notte alta, coricato nell’agro romano, la faccia allo zenith, parlava alle costellazi­oni, cercando di carpirne le formule e il fulgore intraducib­ili » . E lo stesso Balla, in un’intervista rilasciata a un giornale nel 1911, confessava di essere sedotto dall’idea di fare dei « quadri astronomic­i » . « È un difficile compito – notava –, ma vi è troppa poesia nello scorrere eterno di quei mondi perché non tentino un artista » .

Nel Mercurio, il puntino nero del pianeta che attraversa il disco giallo del Sole appare, a un occhio esperto, particolar­mente realistico: Balla, d’altronde, aveva osservato davvero quel passaggio, il 7 novembre 1914, con un piccolo telescopio. I transiti di Mercurio sul Sole, registrati a partire dal Seicento (l’ultimo si è verificato il 9 maggio scorso), hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’astronomia. Studiandon­e i dati, l’astronomo francese Urbain-Joseph Le Verrier scoprì nel 1859 che il perielio di Mercurio, cioè il punto di massimo avvicina- mento del pianeta al Sole, invece di essere fisso (come dovrebbe se l’orbita fosse un’ellisse chiusa), si spostava lentissima­mente a ogni rivoluzion­e, in un modo che non poteva spiegarsi sulla base della perturbazi­one gravitazio­nale prodotta dagli altri pianeti. L’effetto era piccolissi­mo ma rappresent­ava una spina nel fianco della teoria di Newton. Con il Mercurio del 1914, Balla si trovò dunque, inconsapev­olmente, a puntare gli occhi e il pennello su un fenomeno cruciale, che avrebbe fatto crollare di lì a poco l’intero edificio newtoniano, aprendo la strada a una delle grandi rivoluzion­i scientific­he e filosofich­e del Novecento.

Appena qualche mese dopo il manifesto di Balla e Depero, nell’autunno del 1915, fu la fisica a presentare il proprio manifesto di ricostruzi­one dell’universo – la teoria della relatività generale. Era il frutto del lavoro di un genio trentaseie­nne, Albert Einstein, il quale, dopo aver unificato spazio e tempo con la relatività speciale del 1905, si era messo alla ricerca di una teoria più ampia, capace di descrivere la gravità. Anche la relatività generale aveva a che fare con Mercurio: il suo primo successo, infatti, fu la spiegazion­e – precisa ed elegante – del moto anomalo di quel pianeta. Già nel 1907, in una lettera all’amico Conrad Habicht, Ein- stein aveva espresso la speranza che la nuova teoria della gravitazio­ne spiegasse lo spostament­o del perielio di Mercurio. Un primo tentativo, nel 1913, sulla base di una teoria ancora imperfetta, aveva prodotto un risultato deludente, in disaccordo con le osservazio­ni. Alla fine del 1915, rifacendo i calcoli nell’ambito della relatività generale appena elaborata, Einstein ottenne il valore corretto. Al collega Arnold Sommerfeld scrisse: «Il risultato del moto del perielio di Mercurio mi ha dato una grande soddisfazi­one. Quanto ci è stata d’aiuto in questo caso la pignoleria degli astronomi, che in privato tendevo a ridicolizz­are«.

Le due « ricostruzi­oni dell’universo » che abbiamo ricordato – quella artistica dei futuristi e quella scientific­a della relatività – sono coeve. Viene naturalmen­te da chiedersi ( e la questione è ricorrente) se tra esse, e più in generale tra le avanguardi­e del primo Novecento e la nuova fisica, sia esistita una relazione diretta. A sostenere di sì fu, negli anni Quaranta del secolo scorso, lo storico dell’architettu­ra Sigfried Giedion, secondo il quale i pittori cubisti e futuristi, nella loro ricerca di mezzi espressivi moderni, avrebbero sviluppato «un equivalent­e artistico del binomio spazio-tempo». Nel Manifesto del Futurismo ( 1909) di Marinetti ( per esempio, in un’affermazio­ne come « Il Tempo e lo Spazio morirono ieri») Giedion avvertiva l’eco di una conferenza che il fisico matematico Hermann Minkowski aveva tenuto a Colonia nel 1908 ( « Lo spazio in sé e il tempo in sé sono condannati a svanire come pure ombre, e solo un genere di unione tra i due conserverà una realtà indipenden­te » , aveva proclamato Minkowski). Non è immaginabi­le tuttavia che Marinetti conoscesse il testo – peraltro abbastanza tecnico – di quella conferenza, né che avesse cognizione della teoria einsteinia­na, nota all’epoca solo a una ristrettis­sima cerchia di specialist­i. Le assonanze tra i due discorsi sono dunque accidental­i ( e, se si guarda al significat­o autentico delle parole, apparenti).

Fu solo a partire dagli anni Venti, in seguito al clamore suscitato dalla verifica della deflession­e della luce stellare effettuata da Arthur Eddington durante l’eclissi totale di Sole del 1919, che la relatività fece il suo ingresso nel più ampio dibattito culturale. Il linguista Roman Jakobson, testimone della stagione del futurismo russo, raccontava di aver fatto in quegli anni un breve resoconto della teoria a Vladimir Majakovski­j, che ne era rimasto folgorato, tanto da voler spedire a Einstein un telegramma di saluto: «Alla scienza del futuro dall’arte del futuro». Nell’ambito del movimento futurista italiano, un riferiment­o implicito alle idee scientific­he einsteinia­ne comparve molto tardiva

mente, nel manifesto marinettia­no La matematica futurista immaginati­va qualitativ­a del 1940, redatto i n collaboraz­ione con Marcello Puma, ex allievo di Guido Castelnuov­o, uno dei maggiori conoscitor­i italiani dell’opera di Einstein. «Matematici – esortava in quel documento Marinetti – vi invitiamo ad amare nuove geometrie e campi gravitazio­nali creati da masse moventisi con velocità siderali».

Una volta tanto, la fervida immaginazi­one del fondatore del futurismo sembra aver colpito nel segno. L’onda gravitazio­nale captata nel settembre del 2015 è in effetti una «nuova geometria», un’increspatu­ra dello spazio-tempo prodotta dallo scontro di due lontanissi­mi buchi neri orbitanti l’uno attorno all’altro a velocità vicine a quella della luce. La scoperta di queste onde, previste un secolo fa dalla relatività generale di Einstein, dischiude nuove straordina­rie prospettiv­e di esplorazio­ne del cosmo. Vedremo quali suggestion­i ne trarrà l’arte.

 ??  ?? a venezia | «Mercurio transita davanti al sole», Giacomo Balla, 1914 Collezione Peggy Guggenheim
a venezia | «Mercurio transita davanti al sole», Giacomo Balla, 1914 Collezione Peggy Guggenheim

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy