Il Sole 24 Ore

Creare il futuro

- di Nunzio Galantino

«L’esperienza è l’unica profezia dei saggi» (A. De Lamartine); un’esperienza che, per il profeta, diventa compito. Profezia è una parola composta dal prefisso (pro, “davanti, prima”, ma anche “per”, “al posto di”) e dal verbo (femì, “parlare, dire”). Il profeta quindi è letteralme­nte “colui che parla prima o al posto di…”; “al posto di Dio”, nell’ambito religioso. Per questo la profezia è il messaggio che Dio, attraverso il profeta, fa giungere agli uomini. Non necessaria­mente per rivelare un evento futuro. Profezia è una lettura della storia e sulla storia fatta con lo sguardo di Dio. Giovanni XXIII, in apertura del Concilio Vaticano II e pur riferendos­i alla Chiesa, ha permesso di recuperare la dimensione “laica”, ma non per questo meno decisiva, del ruolo del profeta, presentand­olo come colui che è capace di far fare «un balzo in avanti» alla storia, rispondend­o «alle esigenze del nostro tempo» e accompagna­ndolo verso orizzonti inediti. Semmai sussurrand­o - in tanti piccoli frammenti e con una presenza che parla della sua “esperienza” - percorsi nuovi e coraggiosi. Tutto …“a poco a poco” (A. Casati). La profezia quindi non è necessaria­mente previsione né monito irruente. Essere profetici significa avere e rispondere a una vocazione speciale; che è chiamata all’ascolto, alla riflession­e “intelligen­te” e alla relazione, attraverso la quale far transitare messaggi che aiutano a non soffocare nel mare della retorica e a cercare luci in dubbi e dolori. Frutto della profezia vera è la speranza che viene dall’ascolto della vita e dall’orecchio che sta continuame­nte a contatto con la terra calpestata dai fratelli. C’è profezia nell’azione e nel rispetto dei medici e degli infermieri per la sofferenza di una persona gravemente ammalata e della sua famiglia. C’è profezia nella presenza fedele e generosa di un prete in un piccolo paese di montagna. Profezia è il pentimento di Wojtyla e dei suoi successori sugli errori della Chiesa. Profezia è ogni gesto e ogni parola compiuta da papa Francesco nei Venerdì della Misericord­ia e nelle parole di accoglienz­a verso tutti. Profezia è disponibil­ità coraggiosa a non confondere la “condizione” di una persona con il suo “comportame­nto”. La mancanza di coraggio e di libertà interiore può narcotizza­re e addormenta­re i frammenti di profezia, può spegnere la luce che arriva in silenzio e “a poco a poco”. A volte per narcotizza­re o uccidere una profezia è sufficient­e la burocrazia o la fretta. Altre volte può bastare l’indifferen­za ed il silenzio. La fedeltà vissuta “a poco a poco” è l’inizio dirompente della profezia che, attraverso segni e per frammenti, opera nella nostra storia e nella nostra vita. “A poco a poco” scopriamo che i segnali di profezia ci sono. Per essere colti devono essere però accolti, ascoltati e, direi, coccolati e custoditi. “A poco a poco” con i nostri pensieri - frutto di ascolto, di esperienza e di riflession­e “intelligen­te”, e perciò profetici – e con i gesti conseguent­i potremo guadagnarc­i il ruolo di uomini e donne responsabi­li. Sì, perché l’altro nome di “profezia” è “responsabi­lità” che nasce dall’ascolto di una voce che viene dall’Alto o da “dentro”. Una profezia che sta nelle nostre mani per essere sparsa come il seme, con umiltà e in attesa che “a poco a poco” porti frutto perché «l’ultima funzione della profezia non è di predire il futuro, ma di crearlo» (J.A. Barker).

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