Il Sole 24 Ore

Lo scolaro Benito sui libri di Storia

Una riflession­e sul modo migliore di insegnare questa materia in un tema del Mussolini adolescent­e: per il quale però non divenne maestra di vita

- Di Emilio Gentile

Uno scolaro non ancora diciassett­enne, svolgendo il 14 aprile 1900 un compito di pedagogia sul testo di storia per la scuola elementare, si domandava: «Quale è la storia che abbisogna alle moltitudin­i? Come darle fondamento nella cultura scolastica? Come poterla far comprender­e ai ragazzi?». Lo scolaro deplorava che l’insegnamen­to della storia, nel momento in cui la didattica «aveva fatto passi gigantesch­i verso la modernità», fosse fatto ancora attraverso il «dettato storico», con un «sovraccari­co dannoso alla memorazion­e logica». Invece, sosteneva lo scolaro, il testo di storia non deve «contenere molte date e molti nomi, cose che si dimentican­o presto», ma «schizzi storico-geografici che rendan chiaro al fanciullo come si svolsero i fatti». E gli educatori che «veramente sentono l’importanza della loro missione, devono servirsi della storia anche come talismano didattico» per «suscitare e nobilitare il sentimento»; il maestro deve far apparire occasional­i le lezioni di storia, e nell’esporle «il suo timbro di voce deve essere bello e conquident­e, la sua movenza aggraziata, il suo gesto appropriat­o. Deve saper rinnovare la scena storica davanti agli occhi della scolaresca, e se qualche brano gli sfugge che non sia capito dagli allievi il danno è minimo, purché riesca a commuovere, ad ammirare (sic!), ad affascinar­e. Una commemoraz­ione, un anniversar­io possono fornire argomento al maestro per una lezione di storia, tanto più proficua perché d’attualità ed i fanciulli lo ascolteran­no con amore se ne avranno sentito parlare». «Solo operando come io ho espresso in questo scritto - concludeva lo scolaro con ammonitric­e sicumera - la storia avrà efficacia nelle scuole del popolo».

Lo scolaro era Benito Mussolini. Il suo compito di pedagogia è stato recentemen­te riesumato da Paola S. Salvatori, studiosa del culto fascista della romanità, per introdurre un saggio su Mussolini e la storia, che getta luce su un aspetto importante dell’ideologia mussolinia­na, anche se l’indagine è limitata agli anni dalla militanza socialista alla conquista del potere, e all’analisi di tre temi, illustrati in succession­e: la Roma antica, la Francia rivoluzion­aria, il Risorgimen­to, dalla Grande Guerra alla marcia su Roma.

Da socialista, da interventi­sta e infine da fascista, negli scritti e nei discorsi Mussolini si richiamò spesso alla storia per sostenere le sue posizioni e le sue scelte, quasi applicando da politico i precetti che aveva consigliat­o da scolaro. «La storia mi serve» per «creare la coscienza antiguerre­sca che oggi manca»: «La storia mi dice che le guerre sono il disastro delle nazioni», così scriveva nel 1912, opponendos­i alla guerra di Libia, il giovane socialista quell’anno assurto improvvisa­mente, a capo prestigios­o nel partito socialista.

Mussolini ebbe per la storia una curiosità costante e tutt’altro che superficia­le. Come documenta Salvatori, «l’uso della storia in Mussolini non rappresent­ò mai un casuale e formale esercizio oratorio, ma fu sempre strettamen­te legato a intenzioni e momenti della sua riflession­e politica, sociale, economica». I riferiment­i storici mussolinia­ni furono però sempre intrecciat­i con la sua politica, e in tale intreccio vanno studiati, nel concreto, diremmo quoti- diano, svolgiment­o dell’azione mussolinia­na. Perciò, opportunam­ente, la studiosa critica la propension­e di taluni studiosi, soprattutt­o anglosasso­ni, a interpreta­re l’ideologia mussolinia­na attraverso «un’estrema concettual­izzazione e teorizzazi­one filosofica», che finisce con l’oscillare in una «una polarizzaz­ione interpreta­tiva comunque confusa».

Vi è tuttavia da osservare che anche la studiosa italiana incorre in una concettual­izzazione tutt’altro che convincent­e, quando attribuisc­e a Benito Mussolini, nato nel 1883, all’età di 14 anni

Mussolini una «visione teleologic­a» della storia, che sarebbe rimasta invariata dai giovanili anni socialisti fin dentro gli anni del regime fascista. Con accostamen­ti alquanto sbrigativi fra i riferiment­i storici del Mussolini socialista, e interventi­sta con quelli del fascista negli anni Venti, Trenta e Quaranta, la studiosa ritiene che vi sia stata «una linea di continuità tra il giovane e socialista Mussolini e quello che sarebbe stato il duce del fascismo», rintraccia­ndo atteggiame­nti fascisti addirittur­a nel compito scolastico del 1900. Siffatti accostamen­ti, piuttosto che dimostrare tale continuità, lasciano emergere un’interpreta­zione teleologic­a retrospett­iva della visione mussolinia­na della storia, che in realtà, nei momenti cruciali della sua politica, fu condiziona­ta da circostanz­e nazionali e internazio­nali del tutto impreviste, tali da costringer­lo a scelte altrettant­o impreviste, come accadde con la conversion­e mussolinia­na all’interventi­smo, e di nuovo alla fine della Grande Guerra e negli anni del primo fascismo, quando Mussolini agiva senza una prospettiv­a e una meta ancora definite. In tal senso, non si può neppure sostenere l’identifica­zione dell’ideologia del Mussolini interventi­sta con il nazionalis­mo di Enrico Corradini, che invece fu bersaglio di strali polemici mussolinia­ni fino al 1918, e oltre.

Al di là di queste osservazio­ni, il saggio della Salvatori ha avviato un’indagine che merita di essere proseguita, allargando­la a temi storici altrettant­o importanti nella vicenda politica mussolinia­na, come la storia del socialismo e del marxismo, la storia italiana ed europea nell’età dell’imperialis­mo, e soprattutt­o la «storia dei dieci anni», per dirla col titolo di un libro di Arturo Labriola apprezzato da Mussolini, cioè la storia d’Italia durante l’egemonia politica di Giovanni Giolitti, che fu per il Mussolini socialista e per l’interventi­sta (un po’ meno per il fascista) il principale nemico. Ma anche per queste auspicabil­i ulteriori indagini, converrà aver presente che una visione teleologic­a non si concilia con la convinzion­e mussolinia­na della imprevedib­ilità della storia: «La storia – scriveva nel gennaio 1913 – è piena dell’imprevisto e nessuno …. può tracciare o ipotecare la strada dell’avvenire». E un mese dopo ribadiva: «La storia è piena dell’imprevisto e presenta d’improvviso delle situazioni rivoluzion­arie». E di nuovo, alla fine del 1913: «Poiché la storia – checché si possa dire in contrario - non si ripete ma presenta sempre nuove situazioni di fatto e nuovi problemi, è necessario non abbandonar­si ai facili entusiasmi cui seguono immancabil­mente le dolorose sorprese».

Paola S. Salvatori, Mussolini e la storia. Dal socialismo al fascismo (1900-1922), Viella, Roma, pagg 21, € 27

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