Il Sole 24 Ore

Governance e imprese familiari L’

- di Gennaro Sangiulian­o

impresa è un valore. Quest’affermazio­ne può apparire banale e scontata ma in una stagione i n cui le parole sono stressate da manipolazi­oni e false rappresent­azioni è bene partire dai fondamenta­li. Luigi Einaudi ricorda come il primo a utilizzare il termine imprendito­re fosse stato Richard Cantillon, l’autore del Saggio sulla natura del commercio in generale, scritto tra il 1728 e il 1734. Fu lui a sostanziar­e una nozione di imprendito­re, l’ « entreprene­ur » , distinta da quella di mercante, inteso come il soggetto « vero motore della società economica » , capace di essere « vero organizzat­ore di tutto ciò che si produce » , in quanto « l’iniziatore, il creatore, il responsabi­le » . Il sistema di mercato punta alla crescita collettiva facendo leva sull’interesse individual­e, coordinand­o produttori e consumator­i e gli imprendito­ri sono la figura chiave di questa architettu­ra. Il valore degli imprendito­ri è nel fatto che ricercando un legittimo profitto pervengono spesso a benefici collettivi maggiori di quelli che riuscirebb­e a ottenere lo Stato.

Tuttavia, se queste sono le premesse storiche dell’impresa, risulta evidente che essa si sia profondame­nte evoluta rispetto a questa accezione originaria. Il tema che appare centrale oggi è nell’inquadrare una nozione d’impresa coerente con i tempi, che tenga conto delle trasformaz­ioni in atto. E su questo fronte appare senz’altro cruciale il nodo della “corporate governance”, intesa come snodo del complesso rapporto fra gli interessi che devono bilanciars­i in un’azienda: azionisti, management, interessi generali. L’operativit­à tecnica ma anche la filosofia di questo rapporto sono al centro del saggio di Marina Brogi Corporate governance, tentativo di spiegare sia il retroterra normativo «law in the books» che quello organizzat­ivo « law in action » del mondo delle imprese.

Secondo l’Oxford Dictionary la corporate governance «è l’azione o il modo in cui si governa un’organizzaz­ione», la configuraz­ione del sistema con cui si assumono le decisioni che tende evidenteme­nte al buon governo societario. I diversi sistemi normativi hanno combinato diversi elementi per disegnare il framework sulla corporate governance ma solitament­e si tratta di un mix di leggi ordinarie, regolament­i, codici di autodiscip­lina e principi.

L’impresa negli ultimi decenni si è profondame­nte trasformat­a, anche se il cosiddetto capitalism­o familiare mantiene una sua significat­iva presenza, l’apporto del capitale finanziari­o è diventato decisivo, disegnando scenari che vanno oltre il fondatore e la sua famiglia. In questo quadro si colloca il tema del rapporto tra la proprietà dell’impresa e chi la gestisce. «L’Ocse ha iniziato a occuparsi di governo societario», come ricorda Marina Brogi, «dalla fine degli anni Novanta, formalizza­ndo una prima stesura dei Principles of Corporate Governance nel 1999, rivisitata nel 2004 e più di recente nel 2015». Si tratta di principi che pur non avendo una natura vincolante sono diventati un punto di riferiment­o mondiale, accolti dal Financial Stability Board.

Il Codice Civile italiano è fra i migliori al mondo e aveva dato un inquadrame­nto efficace alla governance delle imprese, la materia è stata innovata dalla riforma del 2003 che ha conferito alle società per azioni diversi sistemi di amministra­zione e controllo: un modello tradiziona­le, uno dualistico ed uno monistico.

In anni recenti si è molto discusso di presunti limiti del capitalism­o familiare, del suo essere limite allo sviluppo delle imprese. La Brogi cita, invece, gli studi di D. Miller e I. Le Breton che hanno studiato le imprese familiari secondo la prospettiv­a della Stewardshi­p Theory per la quale questo tipo di imprese esaltano: continuità, comunità e connession­e. Si è fatto presto a liquidare le imprese familiari come obsolete mentre l’esperienza mostra «come questo tipo di azienda sia caratteriz­zato da una maggiore resilienza e sia più in grado di altre di assorbire shock esogeni».

Si può ben disegnare una teoria generale dell’impresa, del resto, l’imprendito­re e il suo lavoro sono apprezzati dalla teologia della creazione. Il Nuovo Testamento allude al valore dell’imprendito­re nella “parabola dei talenti” quando allude all’uso sapiente dei doni di Dio. È da ritenere che fin quando esisterà l’economia, ci sarà sempre bisogno dell’impresa.

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