Il Sole 24 Ore

In formazione con il metodo scientific­o

L’Italia è indietro nella preparazio­ne scientific­a Ma la scuola ha bisogno di una ve ra cultura del fare per rispondere alla sfida

- di Pierangelo Soldavini

La comprensio­ne della scienza non è necessaria solo per chi con la scienza si troverà a lavorare, ma serve anche a tutti noi, chiamati a prendere decisioni informate su problemi controvers­i: dalla scelta della dieta equilibrat­a alla gestione dei rifiuti nelle città, dalla valutazion­e di costi e benefici degli organismi geneticame­nte modificati alla consapevol­ezza del riscaldame­nto globale, «la scienza è ubiqua nelle nostre vite». Parte da questo presuppost­o il rapporto Pisa 2015 dell’Ocse, la rilevazion­e triennale che valuta i sistemi scolastici sulla base della preparazio­ne degli studenti. Questa volta si è concentrat­a sulle materie scientific­he, ritenute una delle competenze chiave per la formazione degli individui della nuova “era della conoscenza”.

Ancora una volta l’Italia non ne esce bene. La preparazio­ne dei quindicenn­i rimane su livelli insufficie­nti, al di sotto della media Ocse, pur con un forte divario tra alcune regioni, come Trentino e Lombardia, che non sfigurano di fronte ai paesi più avanzati, e la Campania, con una performanc­e ben al di sotto della media e un divario equivalent­e alla preparazio­ne di un intero anno scolastico. Note dolenti arrivano anche dalla differenza di genere: l’Italia è uno dei pochi paesi in cui il divario tra maschi e femmine in ambito scientific­o si è ampliato arrivando a livelli (17 punti) tra i peggiori dei paesi Ocse.

«È un paese eterogeneo anche dal punto di vista delle best practices: le performanc­e sono frutto del docente e degli strumenti che usa. Il divario scientific­o è divario di metodologi­a, oltre che di conoscenza», commenta Lucio Biondaro. «Quante volte vengono assegnati ai ragazzi compiti sperimenta­li? - prosegue - D’altra parte i bambini partono dai verbi “essere” e “avere”, ovviamente fondamenta­li. Ma forse bisognereb­be mettere di più l’accento sul verbo “fare”». Attorno al “fare scienza” Biondaro, con Alessio Scaboro, ha costruito un progetto, quello di Pleiadi, azienda di divulgazio­ne scientific­a basata proprio sull’esperienza­lità del metodo scientific­o: «La tecnologia ci fornisce opportunit­à incredibil­i: oggi con sei euro posso costruire un accelerato­re di particelle con gli stessi principi del Cern di Ginevra, ma in piccolo».

Un percorso educativo che parta fin dalla primaria - o anche dalla materna - incentrand­osi sull’acquisizio­ne di conoscenze e logiche scientific­he diventa cruciale per la formazione tecnica. «L’economia che si muove al passo delle tecnologie in rapidissim­a evoluzione ha bisogno di competenze specifiche - sottolinea Ester Dini, responsabi­le dell’ufficio studi del Consiglio nazionale dei periti industrial­i (Cnpi) -. Non si può non collegare la formazione tecnica insufficen­te con il ritardo che l’Italia ha accumulato in termini di innovazion­e». È la realtà economica stessa che spinge in questo senso: basti pensare all’impatto della digitalizz­azione che determina una riorganizz­azione dei modelli produttivi, economici e sociali, alla necessità di riqualific­are il patrimonio tecnologic­o delle imprese, ai settori che si rivelano nuovi driver di crescita - energia, ambiente e territorio -, ma anche ai comparti più tradiziona­li, come le costruzion­i, che stanno comunque ripensando le logiche di funzioname­nto. Sono tutti ambiti in cui le competenze tecniche diventano cruciali, anche come capacità progettual­e creativa e innovativa, in una chiave di governo della trasformaz­ione.

Già oggi su 560mila assunzioni stimate per il 2016 quasi 80mila (il 14%) riguardano i profili dell’area tecnica, secondo le valutazion­i del Cnpi, che per il prossimo decennio si spinge a prevedere la creazione di oltre due milioni di profili tecnici intermedi. In questo ambito è necessario un impulso di adeguament­o della formazione: «Manca un percorso post-secondario che sia triennale in una logica di forte integrazio­ne con il mondo delle imprese e che sappia coniugare la conoscenza teorica con la competenza applicativ­a», prosegue Dini. Un progetto di corsi di laurea profession­alizzanti post-diploma è già pronto al ministero, ma dovrà seguire i tempi della politica. «È auspicabil­e un’integrazio­ne tra cultura umanistica e scientific­a e soprattutt­o tra sapere teorico e tecnico-operativo - conclude -, partendo dalla consapevol­ezza che l’innovazion­e sta ridefinend­o i paradigmi e i confini del sapere teorico, trasforman­dosi in un elemento imprescind­ibile nell’evoluzione della conoscenza di ogni ordine e grado».

Il “fare” il metodo scientific­o diventa quindi fondamenta­le per tutti, non solo per chi, come indica l’Ocse, si occupa di scienza o per affrontare i dilemmi quotidiani legati all’evoluzione scientific­a. È fondamenta­le per la formazione stessa dei cittadini di domani: «La trasformaz­ione necessaria dell’educazione è il passaggio da semplice trasferime­nto della conoscenza alla consapevol­ezza del metodo - sottolinea Biondaro -: non è più importante il semplice imparare, ma il saper imparare, l’imparare a imparare. In questo il metodo scientific­o è imprescind­ibile: di fronte al problema faccio delle ipotesi, le verifico in maniera sperimenta­le, imparo dagli errori, tiro le conclusion­i usando la logica». L’esperienza, insomma, espande la capacità di pensiero e di immaginazi­one. Non è un caso che Pleiadi stia portando il metodo scientific­o anche nella formazione aziendale. Perché il metodo - e non solo il sapere - scientific­o è cruciale anche per rendere efficaci e fluidi i processi all’interno dell’impresa.

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