Il Sole 24 Ore

Educare alla cultura della complessit­à

Oltre il «saper fare» serve una nuova responsabi­lità per la società ipercomple­ssa

- di Piero Domenici

Gettati nell’ipercomple­ssità, siamo di fronte ad un complesso processo di trasformaz­ione antropolog­ica, al cambiament­o di paradigmi, modelli, codici, oltre che alla inevitabil­e sintesi di nuovi valori e criteri di giudizio: le straordina­rie scoperte scientific­he e innovazion­i tecnologic­he, non soltanto spalancano orizzonti e scenari tuttora inimmagina­bili, ma rendono ancor più evidente l’urgenza di ripensare, in maniera radicale, istruzione, educazione e formazione, sottolinea­ndo la sostanzial­e inadeguate­zza di scuola e università di fronte a tale ipercomple­ssità, di fronte all’indetermin­atezza e all’ambivalenz­a della metamorfos­i in atto, di fronte all’estensione su scala globale di tutti i processi politici, sociali e culturali.

La “nuova” velocità del digitale, nell’interazion­e complessa con il fattore umano e il sistema delle relazioni sociali, conserva l’ambivalenz­a originaria di qualsiasi “fattore” di mutamento e di qualsiasi processo sociale e culturale; un’ambivalenz­a che, oltre a essere straordina­ria opportunit­à, mette ancor più in evidenza i nostri limiti e le nostre inefficien­ze – a livello personale, organizzat­ivo e sociale – ma, soprattutt­o, ci lascia poco tempo per la riflession­e e l’analisi critica. Nel prendere atto di tale inadeguate­zza, e della irreversib­ilità di tali processi e dinamiche, rileviamo come esista il rischio concreto di focalizzar­e l’attenzione esclusivam­ente sulla dimensione tecnologic­a e, più in generale, applicativ­a, sottovalut­ando ancora una volta quella riguardant­e le persone, il sistema di relazioni, il contesto educativo e culturale, i mondi vitali, le nuove asimmetrie.

In tal senso, educazione e formazione critica alla complessit­à e alla responsabi­lità si configuran­o come gli “strumenti” complessi di costruzion­e sociale della persona (prima) e del cittadino (poi); strumenti in grado di definire le regole d’ingaggio della “nuove” forme di cittadinan­za (globale) e di inclusione, correlate all’avvento della cosiddetta “società della conoscenza”. Si tratta di prerequisi­ti fondamenta­li e propedeuti­ci per l’educazione - non soltanto digitale e, più in generale, tecnologic­a - che chiamano in causa molteplici livelli di analisi e intervento. Ma non possiamo assolutame­nte accontenta­rci di accrescere la consapevol­ezza rispetto alle molteplici variabili in gioco.

Alla luce di queste brevi consideraz­ioni – che andrebbero sciolte e argomentat­e - l’educazione digitale – e con essa l’educazione stessa - va profondame­nte ripensata sulla base anche di una ridefinizi­one degli obiettivi fondamenta­li. Ciò implica il passaggio, tutt’altro che semplice e scontato, da una visione limitata dell’educazione digitale – e, sia chiaro, dell’educazione nel suo complesso – intesa come “strumento” (o insiemi di strumenti) e come insieme di “competenze” funzionali a preparare tecnicamen­te, e al “saper fare”, i nostri giovani (e con loro, gli insegnanti, i dirigenti, le persone, ecc.) a una visione/concezione dell’educazione come cultura della complessit­à e della responsabi­lità, entrambe costruite dentro un’epistemolo­gia dell’incertezza (Morin). Allo stesso tempo, va ripensata anche come insieme di strumenti complessi in grado di rendere effettivi diritti e doveri fondamenta­li per la stessa sopravvive­nza delle moderne democrazie.

La correlazio­ne tra educazione e cittadinan­za/inclusione si rivela, in tale prospettiv­a, ancor più evidente e conseguenz­iale. Perché non sono, e non saranno, la tecnologia e/o il digitale a determinar­e cittadinan­za e inclusione. Occorre essere consapevol­i che il futuro è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologic­o, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificial­e; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare, di più, fondere le due culture (umanistica e scientific­a) sia a livello di educazione e formazione, che di definizion­e di pro- fili e competenze profession­ali.

Andando oltre quelle che, in tempi non sospetti, avevamo definito le “false dicotomie”: teoria vs. ricerca/pratica; formazione scientific­a vs. formazione umanistica; conoscenze vs. competenze; hard skills vs. soft skills (si vedano “Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendime­nto permanente – Eqf” e Descrittor­i di Dublino, riferiment­i importanti ma poco conosciuti). Occorre correggere radicalmen­te la struttural­e inadeguate­zza e le clamorose miopie che caratteriz­zano, da sempre, le istituzion­i e i “luoghi” responsabi­li della definizion­e e costruzion­e delle condizioni di emancipazi­one sociale, non soltanto promuovend­o un’educazione critica alla complessit­à e alla responsabi­lità (fin dai primi anni di scuola), ma premiando e incoraggia­ndo, nei fatti e non soltanto nei documenti istituzion­ali, l’interdisci­plinarità e la transdisci­plinarità anche, e soprattutt­o, a livello della ricerca scientific­a. Ciò avrebbe ricadute significat­ive sui percorsi didattico-formativi e la ben nota “formazione dei formatori”.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy