Educare alla cultura della complessità
Oltre il «saper fare» serve una nuova responsabilità per la società ipercomplessa
Gettati nell’ipercomplessità, siamo di fronte ad un complesso processo di trasformazione antropologica, al cambiamento di paradigmi, modelli, codici, oltre che alla inevitabile sintesi di nuovi valori e criteri di giudizio: le straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, non soltanto spalancano orizzonti e scenari tuttora inimmaginabili, ma rendono ancor più evidente l’urgenza di ripensare, in maniera radicale, istruzione, educazione e formazione, sottolineando la sostanziale inadeguatezza di scuola e università di fronte a tale ipercomplessità, di fronte all’indeterminatezza e all’ambivalenza della metamorfosi in atto, di fronte all’estensione su scala globale di tutti i processi politici, sociali e culturali.
La “nuova” velocità del digitale, nell’interazione complessa con il fattore umano e il sistema delle relazioni sociali, conserva l’ambivalenza originaria di qualsiasi “fattore” di mutamento e di qualsiasi processo sociale e culturale; un’ambivalenza che, oltre a essere straordinaria opportunità, mette ancor più in evidenza i nostri limiti e le nostre inefficienze – a livello personale, organizzativo e sociale – ma, soprattutto, ci lascia poco tempo per la riflessione e l’analisi critica. Nel prendere atto di tale inadeguatezza, e della irreversibilità di tali processi e dinamiche, rileviamo come esista il rischio concreto di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla dimensione tecnologica e, più in generale, applicativa, sottovalutando ancora una volta quella riguardante le persone, il sistema di relazioni, il contesto educativo e culturale, i mondi vitali, le nuove asimmetrie.
In tal senso, educazione e formazione critica alla complessità e alla responsabilità si configurano come gli “strumenti” complessi di costruzione sociale della persona (prima) e del cittadino (poi); strumenti in grado di definire le regole d’ingaggio della “nuove” forme di cittadinanza (globale) e di inclusione, correlate all’avvento della cosiddetta “società della conoscenza”. Si tratta di prerequisiti fondamentali e propedeutici per l’educazione - non soltanto digitale e, più in generale, tecnologica - che chiamano in causa molteplici livelli di analisi e intervento. Ma non possiamo assolutamente accontentarci di accrescere la consapevolezza rispetto alle molteplici variabili in gioco.
Alla luce di queste brevi considerazioni – che andrebbero sciolte e argomentate - l’educazione digitale – e con essa l’educazione stessa - va profondamente ripensata sulla base anche di una ridefinizione degli obiettivi fondamentali. Ciò implica il passaggio, tutt’altro che semplice e scontato, da una visione limitata dell’educazione digitale – e, sia chiaro, dell’educazione nel suo complesso – intesa come “strumento” (o insiemi di strumenti) e come insieme di “competenze” funzionali a preparare tecnicamente, e al “saper fare”, i nostri giovani (e con loro, gli insegnanti, i dirigenti, le persone, ecc.) a una visione/concezione dell’educazione come cultura della complessità e della responsabilità, entrambe costruite dentro un’epistemologia dell’incertezza (Morin). Allo stesso tempo, va ripensata anche come insieme di strumenti complessi in grado di rendere effettivi diritti e doveri fondamentali per la stessa sopravvivenza delle moderne democrazie.
La correlazione tra educazione e cittadinanza/inclusione si rivela, in tale prospettiva, ancor più evidente e conseguenziale. Perché non sono, e non saranno, la tecnologia e/o il digitale a determinare cittadinanza e inclusione. Occorre essere consapevoli che il futuro è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare, di più, fondere le due culture (umanistica e scientifica) sia a livello di educazione e formazione, che di definizione di pro- fili e competenze professionali.
Andando oltre quelle che, in tempi non sospetti, avevamo definito le “false dicotomie”: teoria vs. ricerca/pratica; formazione scientifica vs. formazione umanistica; conoscenze vs. competenze; hard skills vs. soft skills (si vedano “Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente – Eqf” e Descrittori di Dublino, riferimenti importanti ma poco conosciuti). Occorre correggere radicalmente la strutturale inadeguatezza e le clamorose miopie che caratterizzano, da sempre, le istituzioni e i “luoghi” responsabili della definizione e costruzione delle condizioni di emancipazione sociale, non soltanto promuovendo un’educazione critica alla complessità e alla responsabilità (fin dai primi anni di scuola), ma premiando e incoraggiando, nei fatti e non soltanto nei documenti istituzionali, l’interdisciplinarità e la transdisciplinarità anche, e soprattutto, a livello della ricerca scientifica. Ciò avrebbe ricadute significative sui percorsi didattico-formativi e la ben nota “formazione dei formatori”.