Vibo Valentia, territorio tra bellezza e declino
Disoccupazione, emigrazione e ferite ambientali aperte trascinano la provincia all’ultimo posto
Strade e ferrovia avvicinano la distanza tra due solitudini – quelle di Reggio Calabria e Vibo Valentia – in coda alla classifica della qualità della vita.
Se l’asfalto fa correre meno velocemente quei 100 km tormentati dalle indagini della magistratura che di tanto in tanto sequestra opere, tratti e cantieri dell’A3, i binari li accelerano quasi a dimostrare che tra Vibo e Reggio, in fondo, tutta questa differenza non c’è. I chilometri filano via mentre da un lato si ammirano le coste martoriate da scempi edilizi e forme primordiali di industria abbandonate e sull’altro lato si susseguono immobili decadenti e scheletri di case che forse non saranno mai finite.
Già, del resto perché finirle e restare o tornare – come accadeva un tempo alla forza lavoro che faticava al nord e oltre i confini nazionali – in queste province che si avvinghiano e si dimenano in fondo a un barile in cui non c’è più nulla da raschiare? Sempre più vibonesi e reggini, senza lavoro, futuro e asfissiati dalle cosche Mancuso, Piromalli, De Stefano, Tegano, Condello e via elencando, scappano da questi luoghi. Secondo quanto ha messo nero su bianco la Fondazione Migrantes della Cei (Conferenza episcopale italiana) che il 6 ottobre ha presentato a Roma il Rapporto italiani nel mondo, l’incidenza dei reggini emigrati e residenti all’estero è pari al 4,1%. A Vibo Valentia è in continua ascesa e tocca il 7,5% ma a Filadelfia, che dista appena 29 km da Vibo, supera il 48%. Senza contare quelli che – anche in questo caso sempre di più – vanno in altre regioni per studiare o trovare un lavoro e lì rimangono. Una generazione in fuga.
Non sappiamo come commenterà oggi la classifica Giuseppe Falcomatà, eletto sindaco di Reggio Calabria il 26 ottobre 2014 e se vorrà ripetere ciò che disse lo scorso anno, quando parlò di dati sballati, svolta impressa con il suo primo anno di sindacatura e chiara risalita in atto. Di certo sappiamo quel che scrisse l’allora candidato e oggi sindaco di Vibo, Elio Costa, il 31 maggio 2015 nelle sue linee programmatiche: «Nell’ultimo decennio la nostra città ha subìto un grave processo di degrado che ha oscurato la sua immagine di città colta e austera legata saldamente alle sue tradizioni, facendo emergere diffuse trasformazioni incompatibili con quei requisiti minimi di normalità, indispensabili per rendere una città vivibile».
Il primo, insomma a rendersi conto della gravità della situazione, che abbraccia gran parte della provincia, è lui, l’ex magistrato in pensione da sempre stregato dalla politica (era già stato sindaco per la Casa delle Libertà dal 28 maggio 2002 al 15 gennaio 2005). Se ne rendono conto, invero, anche gli amministratori dei 50 Comuni e persino i neo-eletti vertici della Provincia di Vibo, in bilico tra gli esiti del referendum e la riforma Delrio. A tutto si può resistere da queste parti tranne che a una poltrona, seppur provvisoria e traballante.
Bellezza e degrado
Vibo ha fatto e sta facendo di tutto per umiliare la sua ricchezza: l’ambiente che, in questo lembo di terra, racchiude ogni fiammella di sviluppo sociale ed economico. Qui tutto – anche ciò che resta delle speranze occupazionali – si sposa a ciò che madre natura ha donato e l’uomo ha impoverito. «Potevamo vivere di bellezza – dichiara al Sole 24 Ore Angelo Calzone, avvocato e presidente della locale sezione del Wwf, uno dei più attivi sul fronte ambientalista, oltre alla memoria storica Antonio Montesanti – e invece abbiamo deciso di morire nel degrado».
Le ferite ambientali aperte sono tante e partono da Vibo Mari- na, diecimila abitanti sui 34mila complessivi del capoluogo, che in sé racchiude l’incapacità della politica di garantire uno sviluppo armonioso. L’immensa area Italcementi oggi Heidelberg Cement Group – che operava dal 1939 occupando negli anni d’oro fino a 400 persone e che ha chiuso i battenti nel 2012 con 40 – è abbandonata a se stessa, a pochi metri dalla spiaggia e dal centro abitato, in attesa di una riqualificazione. La politica – divisa su tutto – non sa bene cosa farne e non sa neppure chi e come dovrà sostenere i costi di una eventuale bonifica milionaria. Tra chi spinge per la riconversione in impianti di trattamento dei rifiuti e chi provoca scommettendo sulla riconversione in ricezioni turistiche, Calzone rilancia un’idea che si fa strada: un Museo del Mare con parchi e acquari, sulla falsariga di Genova. Una scommessa del genere avrebbe bisogno di un contorno di servizi turistici, ambientali, di viabilità e mobilità che invece latitano.
Nell’area “pennello” di Vibo Marina, cresciuta negli anni selvaggiamente con la promessa della politica di una sanatoria che non è mai arrivata ma che intanto ha portato voti e che ospita la Capitaneria di un porto un tempo promettente e oggi alle prese con crisi e indagini della Dda, lo scempio edilizio parla da solo: edifici a due passi dal mare che esattamente 10 anni fa furono let- teralmente circondati dall’acqua, quella salata e quella dolce mista a terra e detriti che scendeva dalle colline franate sotto un’alluvione devastante che lasciò sul campo morti e ferite sociali ancora aperte.
I gioielli sulla costa – Tropea e Pizzo solo per citarne due – vivono alla luce di una stagione estiva sempre più corta e alle prese con i soliti problemi come la depurazione deficitaria, la difficoltà nella raccolta differenziata e nello smaltimento dei rifiuti e la delinquenza spicciola ma da brivido. I gioielli dell’interno, nelle splendide serre, non conoscono che pochi visitatori nonostante l’enorme patrimonio ambientale e le perle artistiche. In compenso le strade sono degne di Indiana Jones e tanta voglia di avventura.
Aria, acqua e autobus
Se dalla costa si sale a Vibo su su fino al Castello Normanno Svevo, bisogna fare i conti con decenni di cecità amministrativa e commerciale. Se 30 anni fa i taxi erano 22 oggi sono 4 e se 50 anni fa una corsa costava 100 lire, oggi viene 10/15 euro. Più o meno quanto fanno pagare i villaggi turistici nelle navette che collegano le spiagge agli alberghi. E i bus cittadini? Un’impresa trovarli. Mezz’ora spesa a girovagare indisturbati in una dozzina di uffici comunali al primo piano del Municipio hanno prodotto un solo risultato: sei pagine di orari e codici indecifrabili. A renderle intellegibili ci ha pensato il presidente della Pro Loco, Luigi Saeli: «Non ci sono paline con gli orari e non ci sono pensiline. Noi stiamo lavorando, da volontari, alla comunicazione e alle brochure. Dovrebbe esserci un bando per le pensiline ma è stato bloccato». E se un turista volesse visitare il Museo andando in bus? Si ferma in una via indicata dai vibonesi – a cui non fa difetto certo la cortesia – e aspetta colmo di speranza. Intanto Vibo – priva di piste ciclabili – vede crescere l’uso delle auto private a discapito della qualità dell’aria. Parola che richiama un altro bene primario: l’acqua.
Nessuno sconto anche in questo caso. Anche Vibo, attraverso il bacino dell’Alaco, viene servita da Sorical che vive ancora di traversie giudiziarie (ma quasi tutti i reati ascritti a un pugno di amministratori e dirigenti sono in fase prescrittiva) e se qualcuno nel passato ha provato a manifestare per il ritorno all’acqua pubblica è stato pesantemente intimidito. Se aria chiama acqua, quest’ultima chiama terra ma non c’è da gioire. Qua e là cave censite e no nascondono rifiuti tossici o pericolosi. La magistratura qualche volta interviene ma non basta a impedire che chi poteva vivere di bellezza muoia ogni giornoo nenel degrado.
LUNGO LA COSTA Nelle località turistiche «stagioni» estive che si accorciano e problemi legati all’ecologia e alla delinquenza spicciola