Il Sole 24 Ore

Le misure avviate per il rilancio dell’economia non vanno sprecate

- Paolo Pombeni

Nella cattiva retorica che ha accompagna­to il risultato del referendum si rischia anneghi un giudizio misurato ed equanime su quanto ha fatto il governo Renzi. La tesi per cui il 60% dei cittadini avrebbe bocciato la sua azione è poco credibile, non tanto perché si spera che una parte almeno dei votanti abbia risposto direttamen­te al quesito referendar­io, ma soprattutt­o perché il giudizio che su Renzi hanno veicolato le opposizion­i più che sulla sua politica è stato sullo “stile” del premier combinato con un rifiuto che fosse necessario “cambiare verso” per mettere mano ai guai del paese. Come è tipico di tutti i momenti di transizion­e, troppi pensano che cambiare le modalità di affrontare i problemi significhi accettare che i bei tempi passati non potranno più tornare: di qui il rifiuto delle riforme che toccano quelli che a torto si definiscon­o risultati acquisiti.

È difficile non riconoscer­e che Renzi ha lavorato con grande energia nei suoi mille giorni a palazzo Chigi, smentendo l’immagine di un modo di governare all’italiana che sarebbe rappresent­ato dal vecchio moto queta non movere. L’elenco degli interventi messi in campo in questo non breve lasso di tempo è notevole. Certo contiene anche misure discusse come i famosi 80 euro nella busta paga dei ceti meno fortunati o le normative denominate “buona scuola”, per non dire dell’abolizione generalizz­ata dell’Imu sulla prima casa. Si tratta però sempre di norme che avevano l’obiettivo di rimettere in moto una situazione economica stagnante (e qualche risultato lo si è pure raggiunto) o che volevano rompere con situazioni incancreni­te lanciando dei nuovi approcci all’organizzaz­ione del nostro sistema di istruzione.

L’elenco degli interventi può essere lungo, ma ne ricordiamo alcuni tanto per rinfrescar­ci la memoria: l’abolizione di fatto delle provincie e il varo delle città metropolit­ane; gli interventi per il rilancio dell’occupazion­e, incluso il famoso e tanto discusso Jobs Act; le misure per il rilancio della competitiv­ità e i vari interventi a favore del nostro sistema produttivo; le norme per le carceri e quelle per il riordino del processo civile; gli interventi per il rilancio dell’agricoltur­a; l’azione per gestire le devastazio­ni del terremoto in Emilia Romagna; sul piano dei diritti sociali l’introduzio­ne del divorzio breve e la nuova politica per fronteggia­re i problemi dell’autismo.

L’elenco non è né vuole essere esaustivo, ma solo ricordare che c’è stato un governo che ha lavorato per “sbloccare l’Italia”, tanto per riprendere uno dei suoi slogan. Perché allora c’è stata così poca consideraz­ione per questo lavoro, ovviamente non esente da problemi come è inevitabil­e? Si potrebbe rispondere banalmente in politiches­e che ciò deriva da un orizzonte politico troppo frammentat­o, dove molti hanno fiutato che la divaricazi­one esistente fra la drammatici­tà dei problemi posti dalla transizion­e esistente e la capacità del governo di dare soluzioni rapide poteva facilmente essere sfruttata per svilire qualsiasi risultato si potesse ottenere.

Per realismo va detto che Renzi ha dato una buona mano ai suoi avversari perché la sua comunicazi­one ha sempre assunto toni trionfalis­tici, a volte anche, talora soprattutt­o a livello di comunicazi­one non verbale (il modo di porsi, la mistica delle slide): era il modo di facilitare le critiche di un populismo che più che alla soluzione delle tensioni sociali guarda al loro sfruttamen­to.

Apparentem­ente oggi Renzi esce ridimensio­nato nelle sue ambizioni, ma sarebbe saggio aspettare un poco a trarre queste conclusion­i. Di fatto la saggezza del Capo dello Stato ha impedito che a prevalere fosse la voglia di ordalia che percorre gran parte della classe politica ed ha imposto che la necessaria ed inevitabil­e verifica dei consensi che è richiesta dall’opacità della situazione attuale non si consumasse in una precipitos­a sfida elettorale all’ultimo voto.

La scelta di evitare il governo istituzion­ale per lasciare il campo ad un governo politico va nella direzione di confermare

APPROCCIO COSTRUTTIV­O C’è stato un governo che ha lavorato per sbloccare l’Italia, non bisogna distrugger­e ciò che è stato fatto

tanto verso il paese quanto verso i nostri partner internazio­nali che non si butta a mare il lavoro che si è fatto sin qui. Non siamo ingenui e sappiamo bene che la soluzione della crisi è dipesa anche dal combinarsi di varie spinte politiche niente affatto convergent­i, ma il compito del Presidente della Repubblica è quello di trovare ciò che nella Germania del primo Novecento si chiamava “la politica della diagonale”, cioè proporre soluzioni che sfruttino in senso positivo il confligger­e delle opposte forze in campo.

Il presidente del consiglio incaricato, Paolo Gentiloni, ha le caratteris­tiche per evitare gli errori comunicati­vi in cui è caduto in generale il renzismo, mentre al tempo stesso può condurre il paese verso una prova elettorale gestita con regole che ridimensio­nino le fiammate populiste e costringan­o invece a misurarsi con la necessaria ripresa dei temi che ha messo in campo la nostra crisi. Perché a questo dovranno candidarsi i partiti che richiedera­nno il consenso elettorale ai cittadini, senza distrugger­e per volontà di esibizione muscolare quanto si è accumulato in questi ultimi difficili anni.

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