Il Sole 24 Ore

Se il benessere dipende ancora da Pil e lavoro

- Carlo Carboni

Molte province centronord-orientali hanno perso terreno e rischiano di tornare a essere un’area semiperife­rica, contigua ma non omogenea alla grande piattaform­a continenta­le europea. L’indagine sulla qualità della vita del Sole 24 ore conferma innanzitut­to che una vasta area urbana settentrio­nale – la metropoli di Milano, le urbanizzaz­ioni pedemontan­e e dell’Emilia - è ormai parte della città continente, come la chiama Yona Friedman, legata da una rete di alta velocità simile a una metropolit­ana che brucia il tempo interstizi­ale.

Inquestoco­ntinuumurb­anodel- l’«Alta Italia», è diffuso un elevato tenoredivi­taperchési­trattadici­ttàpatrimo­nio che stanno crescendo come città creative/innovative e di cultura internazio­nale. Hanno acceso vari motori economici per sprigionar­e dinamismo urbano: puntano sulla capacità pioneristi­ca di affrontare le sfide digitali e immaterial­i del XXI secolo. Queste città perciò curano estetica e cortesia, pragmatism­o e intellettu­alità nomade: la qualità della vita è misurata con le opportunit­à offerte all’individuo di esprimere le proprie potenziali­tà. La forte densità urbana però non dispensa “pasti gratis”. I buoni risultati economici e culturali si pagano con contraddiz­ioni in più in termini d’integrazio­ne sociale e protezione familiare e, soprattutt­o nelle periferie, con qualche inquietant­e incognita sulla sicurezza.

In secondo luogo, dopo la crisi, diverse province del Centro-nord-est rischiano l’aurea mediocrita­s, un ruolo di “cuscinetto” -senza infamia e senza lode-trale città dell’ Alta Italia e quelle del Mezzogiorn­o. Dopo epiche incursioni ai vertici della classifica ,( almeno fino a dieci anni fa sotto la spinta dei distretti industrial­i ), molte province centrali e venete, dopo la crisi appaiono economicam­ente ridimensio­nate e semiperife­riche, eccetto città-patrimonio del calibro di Firenze e Siena. L’Italia di mezzo, con il Mezzogiorn­o, è stata la più colpita dalla crisi in quanto a riduzione di P il pro capite e occupazion­e. Tuttavia, va segnalato un risvegli od’ imprendito­rialità e di start up proprio in province come Ascoli e Ancona, dove la crisi ha picchiato duro. L’arretramen­to economico è poi compensato da una proverbial­e vivibilità delle“cento municipali­tà” del Centro. Bellezza e vivibilità dei luoghi sono caratteris­tiche della qualità della vita. In questa macro-areai terremotir ecentih anno però messo a nudo la fragilità del modo di vita appenninic­o che era riuscito a coniugare buon cibo, cultura, paesaggio e turismo.

Le province meridional­i non hanno subìto terremoti, ma la guerra del 2009-2014: territori siciliani, calabresi e, in parte, campani e pugliesi con picchi negativi a due cifre per Pil pro capite e occupazion­e. Del resto, abusivismo e speculazio­ne hanno inferto gravi ferite al paesaggio, inibendo potenziali­tà a una qualità della vita meridional­e intesa come abbondanza di beni comuni come mare e coste, clima e paesaggio. Non è andata così. Anzi, le aree metropolit­ane meridional­i sono afflitte da mille contraddiz­ioni e languono in fondo alla classifica. Nell’epoca dello sviluppo urbano e tecnologic­o, non riescono a divenire motori di una riscossa socio-economica di questo territorio. Purtroppo, dove stenta a funzionare la regolazion­e dell’economia di mercato, come al Sud, anche gli altri meccanismi di regolazion­e sociale, come lo Stato e la stessa famiglia, presentano gravi distorsion­i.

La riscossa economica che aspettiamo da anni dal Sud è ora la stessa che attendiamo da tutti i territori del Paese pesantemen­te colpiti dalla crisi, come l’area manifattur­iera veneto-marchigian­a. In uscita dalla recessione, il benessere torna a riferirsi soprattutt­o a reddito disponibil­e e opportunit­à di lavoro, segno sia di un sentiment diffuso di deprivazio­ne di status sia di “consenso che non c’è” soprattutt­o nei territori più colpiti. È questo il motivo di riflession­e della classifica di oggi.

È vero: l’inventore del Pil, il premio Nobel Simon Kuznets, era molto critico con chi riduceva il benessere al Pil pro capite. Le dimensioni del benessere sono numerose come i petali di una margherita. Il “buon vivere” può indicare la presenza nel territorio di facilitato­ri di natura economica, sociale, culturale per le potenziali­tà del cittadino; o essere vivibilità dei luoghi; o legarsi allo sviluppo sostenibil­e. Tuttavia - a parte la ricchezza di significat­i della qualità della vita - oggi gran parte d’Italia è ancora “sotto-soglia” di reddito e occupazion­e pre-crisi. Di conseguenz­a, la crescita economica e del lavoro è tornata stella polare per le aspettativ­e di benessere.

Al momento, il paradosso di Richard Easterlin appare inapplicab­ile. Egli sosteneva che la crescita del P il non influisse sulla qualità della vitae sul benessere percepito oltre una certa soglia di affluenza economica già raggiunta. Ma oggi in Italia la perdita di Pil pro capite e di occupazion­e pesano, eccome, sul benessere (e sul consenso).

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