In bilico i casi di interposizione reale
pL’ambito di operatività della clausola antiabuso contenuta nell’articolo 6 della nuova direttiva 2016/1164 è indubbiamente più ampio di quello dell’articolo 10-bis dello Statuto.
Dalla norma interna italiana si ricava che l’abuso del diritto va individuato per esclusione. In sostanza, prima occorre verificare se il vantaggio fiscale risulta legittimo o meno. Se è illegittimo, occorre verificare se si tratta di fenomeno ascrivibile all’evasione; solamente in presenza di un vantaggio fiscale illegittimo e non ascrivibile all’evasione, si ravvisa ipotesi di abuso del diritto.
Ci sono, tuttavia, alcune vicende in cui il confine tra evasione ed elusione (abuso del diritto) non risulta così nitido. Il riferimento va, in particolare, alla previsione dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, in tema di interposizione fittizia. Secondo la prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo, le sentenze 15830/2016 e 21952/2015), la previsione dell’articolo 37, comma 3, andrebbe applicata anche all’interposizione reale. Si tratta tuttavia di una conclusione che non appare condivisibile e che è destinata a essere superata se si vuole rendere l’articolo 10-bis dello Statuto conforme all’articolo 6 della direttiva 2016/1164.
Quella dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 è chiara- mente una norma antievasiva volta a permettere all’Agenzia di contrastare l’interposizione fittizia, squarciando il velo opposto dalla vicenda simulata, quindi solo apparente, per ricercare la realtà occultata.
Nell’interposizione reale, di contro, gli unici effetti realizzati sono quelli resi palesi; quella realizzata attraverso l’interpo- sizione reale è una realtà –assolutamente vera e voluta dal contribuente – così strutturata solo per conseguire vantaggi fiscali indebiti.
L’interposizione reale si realizza, infatti, quando l’interposto agisce come effettivo contraente, assumendo in proprio i diritti derivanti dal contratto e impegnandosi a ritrasferirli all’interponente con un successivo negozio di trasferimento. In questi termini lo strumento di contrasto all’interposizione reale non può che essere la clausola antiabuso contenuta nell’articolo 10-bis dello Statuto. Una conclusione questa che, pur già sostenibile, appare oggi necessitata dall’esigenza di rendere conforme al nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164 la nostra clausola antiabuso.
In sostanza, le operazioni non genuine risultano quelle che, giocoforza, non possono essere ricondotte a fenomeni di alterazione dei fatti economici (ad esempio tramite una simulazione), giacché questi costituiscono operazioni da ricondurre al- l’evasione, ma a quelle operazioni pienamente legittime tra le parti che si propongono di conseguire un vantaggio illegittimo. Tra queste, l’interposizione reale risulta senz’altro l’operazione più calzante.
Va osservato, infine, che tra i considerando della nuova direttiva antiabuso viene riconosciuta agli Stati membri la possibilità di comminare sanzioni nel caso in cui torni applicabile la norma generale antiabuso (questo diversamente da quanto stabilito dalla sentenza Halifax, par. 93, in base alla quale «la constatazione di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione»).
In questo modo troverebbe implicita giustificazione la norma italiana che già prevede l’applicazione delle penalità amministrative. Anche se per l’abuso del diritto sembrerebbe più appropriato, alla luce della legge delega 23/2014, un trattamento sanzionatorio specifico e mitigato rispetto alle ipotesi riconducibili all’evasione.
IN CASO DI INFRAZIONE Diversamente dalla sentenza Halifax, i «considerando» alla direttiva del 2016 non vietano le sanzioni