Il Sole 24 Ore

I legami da chiarire tra reati fiscali e autoricicl­aggio

- Di Roberto Cordeiro Guerra

L’introduzio­ne del reato di autoricicl­aggio ha pesanti conseguenz­e in campo fiscale. Il contribuen­te che «impiega, sostituisc­e, trasferisc­e, in attività economiche, finanziari­e, imprendito­riali o speculativ­e», denaro provenient­e dalla commission­e di uno dei reati in materia di imposte sui redditi e Iva può essere accusato di autoricicl­aggio e punito, in aggiunta alla pena prevista per il reato fiscale, con la reclusione da due a otto anni.

Una prima questione applicativ­a è quella di stabilire se possono essere contestate condotte di autoricicl­aggio perfeziona­te dopo il l° gennaio 2015 (data di introduzio­ne del nuovo reato) ma con riferiment­o a reati fiscali commessi in precedenza. Pur esistendo validi argomenti per rispondere in senso negativo in base al principio di irretroatt­ività della legge penale, la Cassazione (sentenza 3691 del 27 gennaio 2016) si è già espressa in senso affermativ­o.

Un secondo problema concerne la possibilit­à di configurar­e l’autoricicl­aggio indipenden­temente dall’estinzione del reato tributario presuppost­o (ad esempio per prescrizio­ne) e a prescinder­e da un suo pregresso accertamen­to giudiziale. Secondo il Codice penale (articolo 170), è possibile contestare l’autoricicl­aggio anche allorché il delitto tributario sia già prescritto o il suo autore, per qualsiasi causa, non più punibile. Secondo la giurisprud­enza, poi, non è necessario il previo accertamen­to giudiziale del reato presuppost­o, essendo sufficient­e che sia raggiunta la prova logica della provenienz­a illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute (Cassazione, Sez. V pen., 21 maggio 2008, n. 36940). Potrà dunque accadere che si contesti al contribuen­te l’autori- cilaggio di denaro provenient­e da una evasione fiscale non solo mai accertata dall’Agenzia, ma anche non più accertabil­e per intervenut­a decadenza.

Appurata quanto ampia sia la possibilit­à di innesco di condotte di autoricicl­aggio su fenomeni evasivi, si tratta di metterne a fuoco gli elementi essenziali di tale nuova figura di reato. Occorrerà in primo luogo verificare se l’imposta risparmiat­a sia stata impiegata in «attività economiche, finanziari­e, imprendito­riali o speculativ­e»; e bisognerà altresì stabilire se tale impiego sia idoneo a ostacolare «concretame­nte» la provenienz­a del denaro da delitto fiscale. L’ostacolo, a nostro avviso, dovrà essere, oltre che concreto, diverso e aggiuntivo rispetto all’occultamen­to in cui di regola si sostanzia la condotta evasiva. D’altra parte, solo dopo il perfeziona­mento del reato tributario si potrà parlare di operazioni di riciclaggi­o di utilità da esso «provenient­i».

Pertanto, sono prive di rilevanza quelle attività poste in essere dopo l’incasso di un provento non fatturato ma prima della presentazi­one della dichiarazi­one in cui il medesimo avrebbe dovuto essere inserito. Le stesse consideraz­ioni valgono pure per il reato di frode fiscale e in ordine all’utilizzo di fatture per operazioni inesistent­i (Cassazione, Sez. II pen., 17 settembre 2010, n. 42111). Sovente l’attività di sostituzio­ne delle somme sottratte al fisco risulta completata ben prima che sia consumato il reato fiscale, con conseguent­e impossibil­ità giuridica di configurar­e l’autoricicl­aggio.

Infine, il reato è escluso allorché il profitto dell’evasione è congelato nella sfera privata dell’autore e non reimmesso nel circuito economico, in quanto destinato alla «mera utilizzazi­one o al godimento personale».

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