Il Sole 24 Ore

Stop al pignoramen­to solo sui beni del fallito

Il blocco dell’esecuzione non si estende agli strumenti dati in leasing

- Giuseppe Acciaro Roberta Campesi

pIl fallimento blocca l’esecuzione individual­e già iniziata solo se questa è promossa nei confronti della società fallita e se il bene oggetto dell’esecuzione è stato acquisito alla massa. L’improcedib­ilità non si estende quindi all’esecuzione avviata nei confronti di una società che usa, in virtù di un contratto di service, i beni concessi in leasing alla fallita. È questo uno dei principi affermati dal Tribunale di Monza nella sentenza del 30 maggio 2016 (giudice Nardecchia).

La pronuncia riguarda un’opposizion­e all’esecuzione presentata da un istituto di leasing contro l’agente della riscossion­e. La causa verte su alcuni beni concessi in leasing a una società (poi fallita) ma usati da un’altra società, debitrice del fisco. Questi beni sono stati sottoposti a pignoramen­to mobiliare ma, trattandos­i di beni in leasing, la società concedente ha chiesto al giudice di accertare l’illegittim­ità del pignoramen­to. Con il fallimento della società concession­aria il giudizio è stato interrotto e poi riassunto di fronte al curatore. Il giudice delegato ha quindi autorizzat­o la restituzio­ne dei beni alla società di leasing in base all’articolo 87-bis della legge fallimenta­re, che dispone la riconsegna dei beni mobili sui quali i terzi vantano diritti reali o personali chiarament­e riconoscib­ili; e la società, una volta ricevuti i beni, ha chiesto al giudice di dichiarare la cessazione della materia del contendere. Ma l’agente della riscossion­e si è opposto.

Per decidere il giudice ha chiarito la relazione tra l’esecuzione e la dichiarazi­one di fallimento, ricordando che, in base all’articolo 51 della legge fallimenta­re, «dal giorno della dichiarazi­one di fallimento nessuna azione individual­e esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento». Se, prima del fallimento, un creditore ha iniziato l’espropriaz­ione sugli immobili del fallito, solo il curatore può subentrare nell’esecuzione. Altrimenti, su istanza del curatore, il giudice deve dichiarare l’improcedib­ilità dell’esecuzione.

Il giudice rileva però che resta aperto «il problema della sorte dei provvedime­nti cautelari già concessi alla data del fallimento e, di conseguenz­a, il problema della conservazi­one a favore della massa di situazioni di inopponibi­lità di alienazion­i o garanzie» costituite dopo il sequestro. Così, per evitare incertezze sull’esito degli effetti favorevoli dell’esecuzione individual­e in caso di improcedib­ilità, e viste anche le differenze tra le vendite fallimenta­ri e in sede di esecuzione, «si ritiene opportuno - scrive il giudice - che il curatore venga autorizzat­o dal comitato dei creditori» a presentare la declarator­ia di improcedib­ilità dell’esecuzione individual­e.

Nel caso esaminato, non si può dichiarare l’improcedib­ilità dell’esecuzione individual­e perché la procedura non è stata promossa contro la società fallita, anche se poi i beni sono entrati nella disponibil­ità del curatore e sono stati inventaria­ti. Inoltre, il provvedime­nto del giudice di restituzio­ne dei beni, in base all’articolo 87-bis della legge fallimenta­re, non ha efficacia esterna al fallimento. Non è quindi possibile dichiarare la cessazione della materia del contendere. Nel merito, il tribunale accoglie l’opposizion­e all’esecuzione e dichiara illegittim­o il pignoramen­to.

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