Il pragmatismo di Mattarella, il minimalismo dell’Esecutivo
Alla fine di questa crisi si possono trarre due conclusioni, una buona, l’altra meno. La prima è la rapidità con cui ha agito Sergio Mattarella che ha mostrato piena consapevolezza delle urgenze del Paese e le ha “imposte” alle forze politiche sin dall’inizio del percorso. Tempi che ha dettato tenendo sotto gli occhi le scadenze italiane - legge di stabilità e banche - più che le reazioni dei vincitori e vinti del 4 dicembre, uniti da quella richiesta di voto subito. Nel mezzo della nuova arena post-referendaria ha piantato il paletto della necessità di un governo, ha respinto lo spirito di rivalsa di entrambi, ha dato l’obiettivo di una nuova legge elettorale. Una velocità che è stata sostanza e che ha dato quelle garanzie indispensabili che Europa e mercati pretendevano: i conti messi in sicurezza con l’approvazione lampo della manovra, un nuovo Esecutivo che si è insediato in tempi record per fare da argine alla bufera del Monte dei Paschi. Il recinto della crisi è stato disegnato dal Quirinale e da quel perimetro i partiti non sono riusciti a uscire.
L’ altra conclusione è meno buona. La lista dei ministri letta ieri da Paolo Gentil on i suggerisce l’ idea di un governo pensato per reggere il “minimo”, sia nelle sfide che nella durata. Un pensiero riconducibile a Matteo Renzi che ha disegnato un percorso congressuale con lo sguardo a elezioni ravvicinate. Ecco, l’Esecutivo sembra in sincronia con questo percorso, sembra fatto per non guardare aldilà della primavera. Quello che realmente accadrà dipenderà dalla legge elettorale, anche dal neopremier e da come gestirà il rapporto con il leader Pd, ma l’atto di nascita ha poche ambizioni. E anche la squadra. C’erano due caselle in qualche modo “intoccabili” per la capacità dei ministri e l’esigenza di continuità - Padoan e Calenda - ma sul resto si respira un’aria di primarie.
Il punto è che le questioni dell’economia, del lavoro, le trattative con Bruxelles sui conti, la prospettiva della fine del QE detteranno altre priorità, più severe, magari anche altri tempi su cui si dovrà ragionare prima di decretare la fine dell’Esecutivo che nasce. Tra l’altro, l’esclusione di Denis Verdini e del suo gruppo dal Governo definisce un’altra maggioranza, toglie numeri al Senato, rende più rischiose le votazioni. La scelta è stata fatta per non prestare il fianco alle critiche della minoranza Pd che però, a questo punto, non ha più alibi e ha in mano la sopravvivenza del Governo, almeno a Palazzo Madama. Questo vuol dire anche che non ci si avventurerà in provvedimenti complicati o controversi, non potendo più contare sulla rete di protezione verdiniana che fin qui aveva offerto più di una copertura all’ex Esecutivo.
Si navigherà in continuità con il passato, non ci sono cesure ma qualche nuovo innesto e una sola scommessa: Marco Minniti all’Interno. Di certo è stata una scelta obbligata di cambiamento in una postazione che ha fortemente logorato Angelino Alfano sulle vicende dell’immigrazione ed eroso anche i consensi nel Pd e nello stesso partito del ministro. Serviva mettere un’altra faccia, un’altra competenza su uno dei temi più sensibili elettoralmente, in questo senso, Minniti è l’unico esperimento. E poi c’è la coppia di fedelissimi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi, con due destinazioni da un chiaro sottotesto politico. Il braccio destro del leader Pd va allo Sport, ministero non tra i più problematici, per conquistare uno spazio di manovra politica e un’esposizione mediatica che certo una delega ai servizi segreti (sembra da lui desiderata) non gli avrebbe consentito. Quella delega sarà presa da Paolo Gentiloni.
Per l’ex ministro delle Riforme c’è l’approdo come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, un ruolo di grande competenza tecnica e di estrema delicatezza, uno snodo burocratico ma soprattutto politico che la metterà fianco a fianco con il nuovo premier. Vigilerà sulla nuova fase dell’Esecutivo, non tanto per le nomine di primavera sulle quali tratteranno direttamente Gentiloni e l’ex premier, ma per dare il senso di una permanenza renziana nel Palazzo. Insomma, una linea di continuità e un solo obiettivo dichiarato - la legge elettorale - che possono dare garanzia sulla durata breve ma che possono essere anche un rischio quando questo Governo avrà di fronte le elezioni. Il profilo minimalista con cui parte avrà bisogno di rinforzi nell’agenda se non saranno i fatti a imporli.