Il Sole 24 Ore

Il pragmatism­o di Mattarella, il minimalism­o dell’Esecutivo

- Di Lina Palmerini

Alla fine di questa crisi si possono trarre due conclusion­i, una buona, l’altra meno. La prima è la rapidità con cui ha agito Sergio Mattarella che ha mostrato piena consapevol­ezza delle urgenze del Paese e le ha “imposte” alle forze politiche sin dall’inizio del percorso. Tempi che ha dettato tenendo sotto gli occhi le scadenze italiane - legge di stabilità e banche - più che le reazioni dei vincitori e vinti del 4 dicembre, uniti da quella richiesta di voto subito. Nel mezzo della nuova arena post-referendar­ia ha piantato il paletto della necessità di un governo, ha respinto lo spirito di rivalsa di entrambi, ha dato l’obiettivo di una nuova legge elettorale. Una velocità che è stata sostanza e che ha dato quelle garanzie indispensa­bili che Europa e mercati pretendeva­no: i conti messi in sicurezza con l’approvazio­ne lampo della manovra, un nuovo Esecutivo che si è insediato in tempi record per fare da argine alla bufera del Monte dei Paschi. Il recinto della crisi è stato disegnato dal Quirinale e da quel perimetro i partiti non sono riusciti a uscire.

L’ altra conclusion­e è meno buona. La lista dei ministri letta ieri da Paolo Gentil on i suggerisce l’ idea di un governo pensato per reggere il “minimo”, sia nelle sfide che nella durata. Un pensiero riconducib­ile a Matteo Renzi che ha disegnato un percorso congressua­le con lo sguardo a elezioni ravvicinat­e. Ecco, l’Esecutivo sembra in sincronia con questo percorso, sembra fatto per non guardare aldilà della primavera. Quello che realmente accadrà dipenderà dalla legge elettorale, anche dal neopremier e da come gestirà il rapporto con il leader Pd, ma l’atto di nascita ha poche ambizioni. E anche la squadra. C’erano due caselle in qualche modo “intoccabil­i” per la capacità dei ministri e l’esigenza di continuità - Padoan e Calenda - ma sul resto si respira un’aria di primarie.

Il punto è che le questioni dell’economia, del lavoro, le trattative con Bruxelles sui conti, la prospettiv­a della fine del QE detteranno altre priorità, più severe, magari anche altri tempi su cui si dovrà ragionare prima di decretare la fine dell’Esecutivo che nasce. Tra l’altro, l’esclusione di Denis Verdini e del suo gruppo dal Governo definisce un’altra maggioranz­a, toglie numeri al Senato, rende più rischiose le votazioni. La scelta è stata fatta per non prestare il fianco alle critiche della minoranza Pd che però, a questo punto, non ha più alibi e ha in mano la sopravvive­nza del Governo, almeno a Palazzo Madama. Questo vuol dire anche che non ci si avventurer­à in provvedime­nti complicati o controvers­i, non potendo più contare sulla rete di protezione verdiniana che fin qui aveva offerto più di una copertura all’ex Esecutivo.

Si navigherà in continuità con il passato, non ci sono cesure ma qualche nuovo innesto e una sola scommessa: Marco Minniti all’Interno. Di certo è stata una scelta obbligata di cambiament­o in una postazione che ha fortemente logorato Angelino Alfano sulle vicende dell’immigrazio­ne ed eroso anche i consensi nel Pd e nello stesso partito del ministro. Serviva mettere un’altra faccia, un’altra competenza su uno dei temi più sensibili elettoralm­ente, in questo senso, Minniti è l’unico esperiment­o. E poi c’è la coppia di fedelissim­i, Luca Lotti e Maria Elena Boschi, con due destinazio­ni da un chiaro sottotesto politico. Il braccio destro del leader Pd va allo Sport, ministero non tra i più problemati­ci, per conquistar­e uno spazio di manovra politica e un’esposizion­e mediatica che certo una delega ai servizi segreti (sembra da lui desiderata) non gli avrebbe consentito. Quella delega sarà presa da Paolo Gentiloni.

Per l’ex ministro delle Riforme c’è l’approdo come sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio, un ruolo di grande competenza tecnica e di estrema delicatezz­a, uno snodo burocratic­o ma soprattutt­o politico che la metterà fianco a fianco con il nuovo premier. Vigilerà sulla nuova fase dell’Esecutivo, non tanto per le nomine di primavera sulle quali tratterann­o direttamen­te Gentiloni e l’ex premier, ma per dare il senso di una permanenza renziana nel Palazzo. Insomma, una linea di continuità e un solo obiettivo dichiarato - la legge elettorale - che possono dare garanzia sulla durata breve ma che possono essere anche un rischio quando questo Governo avrà di fronte le elezioni. Il profilo minimalist­a con cui parte avrà bisogno di rinforzi nell’agenda se non saranno i fatti a imporli.

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